sabato 4 dicembre 2010
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Disinformati per scelta. Per noia. Per nausea. A leggere il 44° Rapporto del Censis sembrerebbe proprio così. Gli spettatori dei tg non calano semplicemente, se ne vanno. Tra il settembre del 2009 e il giugno scorso, i tg serali nazionali sono passati da 18 milioni 300 mila affezionati ascoltatori a poco meno di 15 milioni. Un salto all’ingiù che dovrebbe allarmare tutti gli addetti ai lavori e, soprattutto, i generali dei diversi schieramenti, ma la preoccupazione è invisibile. E le eccezioni, che pure ci sono, confermano la regola. Avete notato sostanziali cambiamenti? Macché, non si finisce mai di contare le notizie lievi e friabili come grissini. I «fatti» che fanno perfino passare per notizia ciò che un tempo era pubblicità, onesta ma pubblicità. Gli ultimi minuti del tg sono dedicati ai programmi della rete, rivelando l’ansia da prestazione delle tv generaliste: il traino, datemi il traino; e voi gentili telespettatori non cambiate canale o saremo perduti.«Fuga dalle notizie», dunque, in uno sprofondamento del Paese nel disimpegno e disinteresse? Non esattamente. Gli italiani – per scelta meditata, consapevole o inconsapevole o perché distratti dalle sirene dei contemporanei quizzettoni che dovrebbero trainare i tg e in realtà si cannibalizzano a vicenda – cambiano aria perché l’aria che respirano in troppi dei tg che costellano le nostre giornate sa incredibilmente di poco (e se la tecnica cronistica riesce a essere persino impeccabile, la scelta dei temi vanifica tutto). Scappano, dunque, gli italiani. Eccome se scappano. Ma dalle non-notizie. Si accorgono che gli eventi davvero decisivi, quelli che si sviluppano magari lontano da noi ma stanno segnando un’epoca, quegli eventi devono cercarseli su quei quotidiani (pochi) che non imitano nei loro autolesionismi certi tg. Se li cercano anche sul web, sempre che siano naviganti dal polso sicuro e dall’occhio esperto, capaci di leggere la rotta nel firmamento di internet e di schivare le permanenti cariche della «bufale».Ammoniva J. R. R. Tolkien: ci sono due generi di fuga. La fuga del disertore, la fuga del prigioniero. Qualcuno forse sì, "diserta" dall’impegno civile e rinuncia a tenersi informato sulle vicende dell’umanità, prossima o remota... come se nel villaggio globale tutti, assolutamente tutti non ci fossero prossimi. La stragrande maggioranza, invece, scappa dalla prigione di un’informazione insipida, insopportabilmente prona al gossip e all’autocelebrazione di se stessa. Scappano dalle non-notizie in cerca d’una boccata d’aria. Scappano come in tempi non sospetti aveva preconizzato un maestro di giornalismo come Ryszard Kapuscinski. Nella seconda metà del Novecento, spiegava il grande inviato polacco, «improvvisamente il grande mondo degli affari scopre che la verità non è importante, ciò che conta è l’attrazione. E, una volta che abbiamo creato l’informazione-attrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque. Più l’informazione è attraente, più denaro possiamo guadagnare».Forse il giochino tanto redditizio non funziona più tanto bene. A tutto c’è un limite, anche alla voglia di troppa gente di farsi abbindolare. «Il passaggio dal criterio della verità a quello dell’attrattiva – scrive ancora Kapuscinski – rappresenta la grande rivoluzione culturale di cui tutti siamo i testimoni, i partecipanti e, in parte, le vittime».Ma forse il Censis ha registrato il segnale d’una inversione di tendenza. I prigionieri dell’informazione-attrazione, delle fandonie ben infiocchettate, del nulla elegantemente impacchettato, fuggono. Fuggono per salvarsi l’anima e il cervello. E fanno benissimo.
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