venerdì 26 luglio 2013
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Caro direttore,
mi chiamo Anna e sono una giovane donna del Sud. In un Paese dove molti si sentono discriminati, io, come molte altre uguali a me, subisco contemporaneamente tre discriminazioni. Intanto perché sono donna, poi abito in un paese del meridione e in più sono eterosessuale! Sono da poco rientrata a casa dopo un colloquio di lavoro. Il capo del personale mi ha squadrato e mi ha detto tra i denti che non si poteva permettere di assumermi perché sono donna, perché sono sposata («e magari fra qualche mese lei è pure incinta») e deve sostituirmi con un altro, pur dovendomi pagare lo stipendio e i permessi pre e post parto. Inoltre, essendo al Sud, le possibilità lavorative sono poche e le scelte devono essere oculate… Capito, caro direttore? Solo perché donna e posso fare figli, vengo discriminata e messa da parte! Eppure desidero essere madre, voglio con mio marito costruire una famiglia. Questo mio sogno mi rende orgogliosa. Forse è arrivato il momento di organizzare un 'eteropride'! Si dice così, l’ho visto alla televisione nelle feste dei gay, che si sentono discriminati, che vogliono una legge contro la 'omofobia'. Anche al mio paese ci sono omosessuali, ma – a parte qualche dileggio dei ragazzini (che non è bene!) – lavorano e sono lasciati in pace. Dove è tutta questa 'omofobia'? E io allora? Che devo dire? Che contro di me c’è 'eterofobia'? Tutti i giornali e tivù parlano degli omosessuali e dei loro diritti. Ma cronache di discriminazioni ne sento e ne vedo poche. E noi? Noi che siamo donne, meridionali ed eterosessuali? Mi dica qualcosa, direttore, perché io possa sperare di realizzare il mio progetto. Come donna ho bisogno di lavorare – lo stipendio di mio marito è piccolo – e soprattutto voglio essere presto madre, magari di tre bambini. Chiedo troppo se desidero costruire una famiglia e guardare serena al futuro dei miei figli, nella mia terra che non voglio lasciare? Mi risponda, direttore. La saluto e la ringrazio.
Anna C.

 

Penso, cara signora Anna, che lei abbia tante ragioni e nessun torto. Di più: penso che lei di torti ne stia subendo davvero molti. Da donna, da persona del Sud, da lavoratrice, da moglie e da madre. Penso anche che il torto più grave e più ripetuto nei confronti suoi e di tante altre giovani (e meno giovani) donne sia stata e sia ancora l’incapacità di chi costruisce polemiche, modelli, lobby e leggi di rendersi conto del male che sta combinando alle persone e alla società. Sono imbarazzato, mi creda. Lettere come la sua riescono a farmi sentire insoddisfatto e in debito di attenzione e di azione, anche se da molti anni cerco assieme ai miei colleghi di battermi in tutti i modi per una giusta e pienamente civile valorizzazione della famiglia e, in essa, del ruolo insostituibile della donna e dell’uomo uniti in matrimonio, cioè impegnati reciprocamente in modo solenne, al cospetto della comunità di cui sono parte e – se credono – davanti a Dio. Questo senso di disagio non mi impedisce di dire che ben più insoddisfatti e incalzati dalle sue parole dovrebbero essere coloro che stanno investendo giorni e giorni di lavoro parlamentare per una legge come quella sull’omofobia, da un lato pleonastica (qualunque sopruso contro le persone omosessuali va sanzionato, ma nel nostro ordinamento già esistono adeguate aggravanti per reati di violenza fisica e morale) e dall’altro, purtroppo, ancora segnata dalla liberticida possibilità di sanzionare qualunque opinione o valutazione 'sgradita' sulla omosessualità, anche quelle civilmente espresse. E sa perché dovrebbero sentirsi sulle spine? Perché, in genere, a ragionamenti semplici e forti come il suo, costoro e quanti li spronano e li sostengono replicano dicendo che bisogna stare tranquilli, che risolta l’urgenza pro-gay qualcosa di buono «si farà» pure per la «famiglia tradizionale»... Ridicolo. Come se stabili e serie politiche amiche per la famiglia e per la donna-madre (e l’uomo-padre) che lavora fossero una sorta di risarcimento benignamente concesso e non un naturale investimento di futuro oltre che un dovere costituzionalmente definito eppure desolatamente ignorato. Questo, cara e gentile signora, per dirle che ho sempre usato con parsimonia il suffisso «-fobia», e perciò davanti al suo «eterofobia» ho sentito il disagio aumentare, ma devo ammettere che la discriminazione che lei sa e sente di aver subìto può giustificare la sua accorata denuncia. Da concittadino e da padre di famiglia sono pienamente solidale con lei e aggiungo la mia voce alla sua per incitare i signori della politica a smetterla con intollerabili disattenzioni e a fare ciò che è davvero urgente per le famiglie italiane e per un lavoro 'nuovo' ma soprattutto rispettoso della persona (e, in particolare, della donna). Un caro saluto a lei e a suo marito.

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