martedì 2 settembre 2014
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Caro direttore,nell’ambito del dibattito seguito alle dichiarazioni di Dawkins ho letto molti commenti su vari blog e mi sembra di poter dire che la maggioranza è, in fondo, favorevole alle tesi del professore. Non voglio fare polemiche: mi rendo conto che ormai quella dello scienziato inglese (a parte le forme espressive un po’ estreme) è la posizione più condivisa, come è testimoniato dal fatto che i bambini con sindrome di Down non nascono quasi più. Vorrei solo invitare, essendo il papà di una bimba con sindrome di Down, a non parlare in loro nome; vi assicuro, per esperienza diretta, che la loro esistenza non è assolutamente “infelice” o – come ho letto tra i commenti di cui sopra – un’esistenza posta «sin dalla nascita nella cupa ombra del non senso». Il ribaltamento della mentalità è totale: oggi è diventato «immorale» mettere al mondo un bimbo Down e si arriva ad accusare i suoi genitori di essere egoisti. Mia moglie e io abbiamo fatto una scelta (accettare un figlio a prescindere dal “risultato”) che può essere più o meno condivisa, ma credo sia più onesto dire che la scelta di far nascere o meno un bimbo Down  riguarda (eventualmente) il “bene” (presunto) del genitore non certo quello del figlio.  In altre parole: scordatevi di fare un piacere a un bimbo Down, non facendolo nascere.Francesco Giovannelli, RomaProprio così, caro signor Francesco: non bisognerebbe neanche azzardarsi a dire che abortire un figlio Down o colpito da una qualsiasi altra “imperfezione” serve a far nascere un figlio sano. Non si può e non si deve giocare con le parole: se poi un figlio nascerà, nascerà un altro figlio, perché quel figlio dichiarato “infelice” sarà stato irrimediabilmente scartato, rifiutato, ucciso. È duro da dire, ma è più duro da veder accadere, giorno dopo giorno, infinite volte. Ed è durissimo – la penso come lei – sentirsi spiegare e rispiegare che quel mortale “no” viene detto «per il bene del bimbo». Un concetto capovolto di «bene» che nella nostra civile e progredita Europa fa sì che ci siano Paesi – ahinoi, come il nostro – dove da anni ormai i bambini con sindrome di Down vengono silenziosamente e inesorabilmente sterminati mentre sono ancora in grembo alle loro madri, e Paesi – come la Danimarca – che sono arrivati a darsi, in modo persino orgoglioso, il programma di rendere (entro il 2030) il proprio territorio «Down Syndrome Free» , frase da brivido che letteralmente vuol dire «libero dai portatori di sindrome di Down». Una «libertà» costruita sistematicamente sulla pratica eugenetica degli aborti selettivi. Lei ritiene che questo accada perché la maggioranza delle persone nostre contemporanee nella sostanza ragioni e sragioni come Richard Dawkins e, dunque, come quello scienziato reputi «immorale» mettere al mondo figli Down. Io non mi rassegno a questa amarissima conclusione, anche se so anch’io – del resto, l’ho appena ricordato – che da noi «i bambini con sindrome di Down non nascono quasi più». Ma credo che, poco alla volta, la gente tornerà a rispettare come sapienti solo coloro che pensano e usano la “scienza” – ogni scienza, e soprattutto quella medica – per far vivere e non per far morire, per curare e salvare, non per escludere e cancellare. Per agire nello spirito di Ippocrate che, quattro secoli prima di Cristo, aveva detto tutto nel suo potente e asciutto «giuramento». Lo credo e, per quel che so e posso, continuerò a fare il possibile per dare voce a coloro che lavorano per «riedificare umanamente» gli uomini e le donne, questo nostro mondo. Persone come lei e come sua moglie, con la vita che conducete e che sapete accogliere e riaccogliere, confermano le ragioni di questa speranza.
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