martedì 8 febbraio 2011
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C’è un fenomeno di costume che acquista dimensioni sempre più grandi: le lotterie. Sono dappertutto. Di diversi tipi, per ogni borsa, per ogni gusto. Lotterie annuali, mensili, settimanali, giornaliere, orarie. Perfino istantanee. L’anno scorso sono stati spesi in scommesse 60 miliardi di euro, quest’anno la previsione va sugli 80. Il grande incremento è dovuto ai giochi on-line, ma anche alla rete delle ricevitorie, sempre più capillare. Ormai sono nelle tabaccherie, nei bar, nelle cartolerie, negli autogrill, nelle edicole. Nei bar vedo sempre più numerosi quelli che oltre a brioche e cappuccino prendono la schedina.Una volta si diceva: sono un fenomeno del Sud, il Sud punta sul gioco, pensa che la ricchezza venga da lì. Si diceva anche: nelle lotterie nazionali vince sempre il Sud, il Sud sa come si vince. Ma non era vero: il Sud vinceva molto perché scommetteva molto. A Napoli e a Salerno ho visto file di clienti in processione davanti alle ricevitorie, pareva che ogni famiglia mandasse un rappresentante a tentare la sorte. Nella cultura del Sud ogni numero da estrarre nelle lotterie è collegato a un simbolo, il simbolo a un sogno, in base ai sogni puoi giocare una combinazione o l’altra. Ma se giochi una certa combinazione, da quella si può dedurre quali sogni hai fatto, e non è bene che la gente conosca i tuoi sogni, te ne potresti vergognare. Che il sogno sia l’inconscio che viene a galla lo sa anche il popolino che non ha letto Freud, e tanto meno ha fatto qualche seduta di psicanalisi. E allora come fanno, gli scommettitori, a giocare secondo i sogni, senza rivelare i propri sogni ai paesani? Semplice: vanno a giocare in un altro paese.Quelli che giocano non sanno quante (poche) probabilità hanno di vincere. Per questo scommettono. Pensano che le probabilità siano alte, e che chi non vince sia sfortunato. Nella mente del cittadino medio c’è il concetto che lui merita più di quel che ha, dunque è in credito con la vita. Non riscuote questo credito perché chi può versarglielo è disonesto, non ha riguardo né per la famiglia numerosa né per l’età del padre o della madre, chi distribuisce il denaro cerca gli altri, e allora in chi si può sperare? In un datore di denaro che sia cieco. La Fortuna. La Fortuna è una dea bendata che vola sull’Italia, scende a caso in questa casa o quella, entra e regala, la vita di chi riceve il regalo cambia da così a così.Nello scommettitore c’è un’idea maligna della distribuzione della ricchezza. Un’idea anti-statale. Lo Stato dovrebbe garantire un giusto rapporto tra merito e premio, la Lotteria è tutto il contrario, dà come càpita: poiché ormai siamo un popolo di scommettitori, diciamo subito che un popolo di scommettitori rinnega lo Stato. Il gioco, lo aveva capito già Dostoievski, crea dipendenza, perché immerge il giocatore in un’attesa mistica: tra il momento in cui ha comprato la schedina e il momento dell’estrazione, lui è un potenziale vincitore, la mancata vincita lo precipita nella crisi di astinenza, combatte la crisi rigiocando immediatamente. I giocatori del Win for Life, che si estrae ogni ora, praticamente sono sempre in crisi, 24 ore su 24. Tanti immigrati scommettono furiosamente col Gratta e Vinci, dai tabacchini, dai giornalai. Comprata la cartolina, la grattano all’istante, dritti in piedi. Perdono, e fissano il foglio come un nemico che li ha traditi. È la dipendenza. Ieri lo Stato lucrava sulla dipendenza dal fumo, oggi lucra sulla dipendenza dal gioco. Non c’è molta differenza. Bisognerebbe che qualcuno glielo facesse notare.
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