Festeggiamo la polizia, ma non lasciamo solo Giovanni davanti alla camorra
mercoledì 12 aprile 2023

Si chiama Giovanni. È un giovane intelligente e intraprendete. Si dà da fare, non aspetta che gli piova addosso. Ha aperto un bar alla periferia di Arzano, grosso centro del Napoletano. Le cose vanno bene. Poi arrivano “loro”. Giovanni li aspettava, sapeva che prima o poi sarebbero arrivati. Sa che cosa vogliono.

Loro sono i rappresentanti di uno dei clan della zona cosiddetta 167 di Arzano. Hanno quasi la stessa età di Giovanni, ma non la stessa intraprendenza, non la stessa voglia di lavorare, di alzarsi presto la mattina, fare sacrifici, rimanere onesti. No, loro, i camorristi, vogliono solo i soldi. I soldi di Giovanni e quelli di tanti altri costretti a pagare il pizzo.

A Giovanni chiedono la modica cifra di 2.000 euro al mese. Ogni mattina, quindi, appena tirata su la saracinesca del bar, Giovanni deve guadagnare e mettere da parte 70 euro da dare ai suoi nemici, ai nemici del suoi figli, della sua città, del suo futuro. Che fare? Pagare? Pur volendo Giovanni non ce la potrebbe fare, prima o poi capitolerebbe.

Un bar in quella zona non riesce a guadagnare tanto da poter pagare le tasse allo Stato più l’ignobile e vergognosa tassa alla camorra e dar da vivere alla famiglia.

Non paghi? Già sai le cose come andranno. Quelle sono persone senza scrupoi, vigliacche, sanguisughe. Si vendicheranno. Per loro non essere obbediti non è solo un danno economico, ma una macchia indelebile sulla fedina camorristica. Un pessimo esempio per chi paga da anni senza ribellarsi. Se non ti sottometti alle loro richieste non puoi sapere che cosa potrà accadere, non solo a te, ma ai tuoi figli, alla tua mamma.

Giovanni non ci pensa su due volte e corre a denunciare. La cosa più logica da fare, vero? Sì, ma non in certi ambienti, lasciati per anni in balia di camorristi che hanno fatto il bello e il cattivo tempo.

Basti pensare che nei quartieri popolari, dove abita, questa gente occupa, abusivamente, da anni case che spetterebbero ad altri. Come è stato possibile? La gramigna va estirpata quando è tenera, poi sarà più difficile. Protratto per anni, alla luce del giorno, sotto gli occhi dei semplici cittadini e di chi avrebbe dovuto e potuto contrastarlo, il fenomeno camorristico diventa quasi normale.

Si crea come una sorta di doppia logica. Tutti pagano, chi sei tu che ti ribelli? Si è sempre fatto così, perché vuoi cambiare le regole? Le regole che mettono loro, logicamente. E poi, non vedi i servizi che la camorra ti rende? Se paghi a noi non ti succede niente, nessuno potrà permettersi di venire da fuori a tormentarti. Noi ti faremo da scudo. Saremo tuoi amici, tuoi guardiani. Saremo la tua scorta.

Duemila euro al mese, sono 24,000 euro all’anno. Moltiplicate per tutte le attività presenti sul territorio e oltre, aggiungeteci i proventi del traffico della droga, le rapine degli scagnozzi alle loro dipendenze, con i relativi “cavalli di ritorno”che fanno impazzire gli inquirenti che non ricevono nemmeno le denunce, e vedete a quanto ammonti lo stipendio di uno sfaticato e sanguinario camorrista.

Soldi in tasca, scarpe e abiti firmati, auto sportiva, vacanze da sogno, barba lunga come il capo, ed eccolo pronto per il grande salto, quello del delirio di onnipotenza. Sono forte, questa è zona mia. Guai a chi mi tocca, guai a chi si permette di denunciare.

Giovanni lo ha fatto, e tre dei suoi aguzzini sono finiti dentro. Non oso immaginare la rabbia che li ha invasi. Non oso immaginare le vendette che stanno preparando. Non oso e non voglio immaginare niente, voglio solo raccontare che martedì in Albis il nostro “Comitato civico contro la camorra” si è portato nella piazza di spaccio di Arzano per abbracciare Giovanni.

Un bel gruppo, al quale si sono aggiunti anche i sindaci di Arzano e di Caivano. Pochi, purtroppo, i cittadini. Li capisco, non li giustifico, ma li capisco.

Mercoledì in Albis, festa della Polizia. A Napoli, vengo invitato anch’io. Il questore, Alessandro Giuliano, figlio di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, ucciso in un bar dal mafioso corleonese Leoluca Bagarella, il 21 luglio del 1979, ha preso la parola.

Tra le altre cose ha detto una sacrosanta verità: la camorra non si combatte con le sole forze dell’ordine. Vero. Si combatte e si sconfigge con la cultura, il gioco, lo sport, la musica. Servono libri, tanti libri. Servono testimoni onesti, tanti, tanti testimoni onesti. Serve la famiglia contro la quale è in atto una incomprensibile e masochistica guerra. Serve la scuola e la Chiesa. Serve che il Palazzo – qualsiasi palazzo del potere – abbracci la piazza. Serve scendere tra la gente. L’odore delle pecore cui ci richiama papa Francesco non devono sentirlo solo i preti, ma tutti. E serve che i commercianti trovino il coraggio del loro collega, Giovanni. E si convincano che se denunciano tutti, tutti saranno finalmente liberi. La camorra in terra napoletana - e non solo - deve scomparire. Una volta e per sempre. Bisogna non abbassare la guardia.

Adesso, però, Giovanni Ferraioli non deve essere lasciato solo dallo Stato. Potrebbe essere pericoloso.

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