sabato 5 marzo 2011
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«La libertà religiosa è un faro di speranza e potente rassicurazione per tutte le minoranze, e garantisce l’identità e la sicurezza di sé eliminando la percezione dell’ostilità e delle minacce. È dunque essenziale rifiutare tutte le forme di intolleranza religiosa e di discriminazione». È importante che nel giorno in cui si svolgevano i funerali del ministro per le minoranze pachistano Shahbaz Bhatti – assassinato a Islamabad per la sua battaglia contro la legge sulla blasfemia – si sia levato alto a Ginevra il monito del presidente Napolitano di fronte al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.È importante perché il tema delle persecuzioni religiose, in particolare quelle dei cristiani, si avvale di una misteriosa ma persistente sordina internazionale, quasi si trattasse di fenomeno logico o addirittura biologico, come l’inevitabile estinguersi di alcune specie animali.Bhatti era cattolico, la sua azione politica a difesa di Asia Bibi un pericolo mortale per la viscosa legge pachistana che consente di incriminare e mandare al patibolo chiunque sia sospettato – a torto o ragione – di offendere Allah. Prima di lui era stato assassinato Salman Taseer, governatore musulmano del Punjab, il cui unico torto era stato quello di aver chiesto la grazia per Asia, donna cristiana.Il Pakistan, come sappiamo, non rappresenta un caso isolato. Di cristiani sotto il maglio della persecuzione vi è tragica abbondanza: in almeno sessanta Paesi del mondo essere cristiano comporta dei rischi, a volte mortali (come in Somalia, in Sudan, in India, in Egitto), altre volte – pensiamo all’Iraq, a certe zone della Turchia e in genere nel Medio Oriente – è fonte di un disagio esistenziale, psicologico e morale che porta sovente all’abbandono della propria terra cercando rifugio altrove, come dire una sorta di 'pulizia etnica bianca'. Un fenomeno persistente e vistoso, per certi versi macroscopico, e comunque di incontrovertibile gravità.Ma il più subdolo degli alleati di quella cieca intolleranza che arma la mano dei fanatici, degli integralisti, degli estensori di leggi persecutorie e omicide (come quella pachistana sulla blasfemia) lo stiamo purtroppo ospitando proprio noi, noi ricchi e distratti occidentali: esso abita nel sorprendente mutismo del Palazzo di Vetro come negli afasici balbettii di maniera di Bruxelles, nelle vuote parole di uomini della politica e della diplomazia prigionieri di untuosi formalismi e granitici pregiudizi, uomini – come ha detto appropriatamente il ministro Frattini in un’intervista a questo giornale – «sempre molto attenti al politically correct, fino al punto di non utilizzare mai in un documento ufficiale le parole "cristiani perseguitati"».C’è una sola definizione per certi comportamenti: codardia politica, alla quale sono purtroppo avvezzi da lungo tempo non pochi leader internazionali. Non è questo il caso del presidente Napolitano: «Non c’è dubbio – ha detto ieri – che gruppi vulnerabili, come le comunità cristiane in alcuni Paesi, richiedono speciale protezione. La lotta contro tutte le forme di razzismo, discriminazione, xenofobia e simili intolleranze non è solo una obbligazione internazionale, ma anche la migliore risposta nell’interesse comune dell’umanità». È senz’altro vero. La difesa della libertà religiosa non è uno sfizio intellettuale, bensì una drammatica urgenza mondiale.Diceva Hannah Arendt che tolleranza significa la capacità anche per un solo istante di pensare che l’altro da noi possa aver ragione. Sembra banale, come nozione, ma il sangue di migliaia di perseguitati in tutto il mondo ci testimonia quanto questo traguardo sia ancora molto lontano. Anche per colpa dei liberi governi e parlamenti d’occidente.
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