venerdì 23 gennaio 2009
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Il primo passaggio parlamentare della legge delega per l’introduzione del federalismo fiscale si è svolto in un clima diverso da quello, piuttosto rissoso ed esagitato, che avava caratterizzato i primi mesi della legislatura. La discussione già svolta in commissione si era concentrata sul merito del provvedimento, osservazioni e proposte delle opposizioni erano state considerate costruttive e in parte accolte dalla maggioranza, il confronto in aula si è concentrato sulla preoccupazione – anch’essa condivisa, seppure in grado diverso – per i costi e per gli effetti concreti della riforma. Si tratta, infatti, di un provvedimento complesso, che disegna un percorso che in sette anni dovrebbe ridisegnare il rapporto dei cittadini con i diversi livelli di governo e identificare meglio le responsabilità di ogni centro di spesa. L’Italia può permettersi di intraprendere un cammino così impegnativo proprio nel bel mezzo di una crisi economica mondiale della quale nessuno è in grado di prevedere come e quando finirà? Questa domanda, esplicita negli interventi delle opposizioni, esprime una preoccupazione che è anche della maggioranza, che ne ha dato un segno introducendo una norma che impegna a definire in ogni legge finanziaria il tetto della pressione fiscale centrale e periferica. Giulio Tremonti non ha fornito dati previsionali, il che ha sollevato critiche nel Pd e la decisione di non approvare il provvedimento nell’Udc, ma la riluttanza del ministro dell’Economia ad assumersi impegni in una situazione tanto fluida esprime anche un atteggiamento di serietà. In effetti, molti elementi che decideranno dell’effetto economico del federalismo fiscale sono ignoti, da quello basilare della produzione di reddito nei prossimi sette anni, a quello che deriva dalla definizione dei costi standard sui quali si baserà la disponibilità di spesa delle amministrazioni locali e regionali per l’erogazione dei servizi, e che sostituirà il principio della spesa storica, attualmente vigente, che ha il difetto di favorire proprio chi spende di più indipendentemente dalla qualità dei servizi che è in grado di erogare. La verità effettiva sui conti si avrà solo con i numerosi decreti attuativi che saranno via via emanati e con la loro sperimentazione pratica, anche se naturalmente è fondata la richiesta di una prospezione di massima dei loro effetti, che ha anche il senso di una responsabilizzazione del Governo e del Parlamento nel loro controllo. Pur con tutte le cautele del caso, tuttavia, quel che emerge è un atteggiamento non rodomontesco della maggioranza cui fa riscontro simmetricamente quello non distruttivo delle opposizioni, nemmeno di quelle che hanno deciso – per ora – di votare contro. Così si sono create le condizioni per ulteriori passaggi e approfondimenti che consentano di dare risposte agli interrogativi che non riguardano il principio del federalismo fiscale ma l’efficacia pratica del modello concretamente proposto.
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