giovedì 11 giugno 2015
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Il documento approvato dal Parlamento europeo sulle tematiche familiari, pur non vincolante per i Paesi membri, presenta contenuti e princìpi inauditi che stravolgono storia, diritto e realtà naturale, violano diritti umani solennemente garantiti dalle Carte internazionali, pongono le basi per nuove discriminazioni contro le donne, i giovani, l’infanzia. Anche la semplice lettura di questa che è una semplice «risoluzione non legislativa» pone seri problemi per il futuro: l’Europa apre al "gender", chiude alla solidarietà, abbandona i più deboli. Ed è viziato già all’origine perché il tema della famiglia e della sua disciplina è di stretta competenza dei singoli Stati, ogni ingerenza viola quella sussidiarietà che è alla base dei Trattati dell’Unione. La formula del suggerimento perché la Commissione europea elabori una strategia per gli anni successivi al 2015 è solo una forma ipocrita per aggirare il principio di sussidiarietà che ha una valenza, per così dire, costituzionale per tutti i Paesi europei. Il documento è intriso, a volte in modo clamoroso, spesso ambiguo, delle ideologie di "gender", per le quali l’identità della persona non coincide con i caratteri biologici di uomo e donna, è frutto di scelte culturali variabili, ed eguali diritti vanno riconosciuti a ogni tendenza sessuale. Su questa base, puramente ideologica, discussa e contestata nel mondo occidentale dove ha preso piede, si chiede agli Stati che vengano riconosciute nuove forme di famiglia, tutelata la omogenitorialità. In questo modo matrimonio e famiglia divengono strumenti per un obiettivo estraneo, garantire la filiazione alle coppie che ne sono naturalmente inibite perché non eterosessuali. Si apre un conflitto di diritti contro diritti che assume forma fisica, si perpetua nel fluire delle generazioni perché ai bambini viene negata la doppia genitorialità, la complementarietà di psicologie necessaria per la crescita e l’educazione. La difesa dell’omogenitorialità, affermata per la prima volta in modo così esplicito, è in totale contrasto con diritti fondamentali riconosciuti ai minori, tante volte evocati su "Avvenire": per la Convenzione sull’eliminazione delle discriminazioni nei confronti della donna del 1979, «la maternità è una funzione sociale, uomini e donne hanno responsabilità comuni nella cura di allevare i figli e assicurare il loro sviluppo»; per la Dichiarazione internazionale dei diritti del fanciullo del 1959, «il fanciullo deve, per quanto possibile, essere sotto le cure e la responsabilità dei genitori. (…) Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre». Tutto ciò è cancellato dalle proposte del Parlamento europeo, perché esse cancellano la doppia figura genitoriale esistente in natura, la madre può non esserci, sono inibite al minore le parole papà e mamma che tutti i bambini del mondo pronunciano, perché in casa queste due persone non ci sono, c’è una sola figura sessuale raddoppiata. Il documento recepisce poi altre gravi e mortificanti pretese dell’ideologia del "gender", invasive del mondo dei bambini quando raccomanda che «la diversità di genere nei bambini non sia definita patologica», e raccomanda di combattere «gli stereotipi di genere» anche in ambito educativo e nei media. Si cerca così di sradicare un altro diritto fondamentale dei genitori che la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo del 1950 tutela, perché «lo Stato deve rispettare il diritto dei genitori a provvedere all’educazione e insegnamento secondo le proprie convinzioni». La strategia di liberismo relativista tende a imporre i modelli plasmati dalla cultura del "gender" sia dalla prima età, senza che possano essere contraddetti dai genitori neanche in nome della libertà di educazione. Dentro questa cornice, che chiede di riconoscere il diritto all’aborto, e accettare ogni scelta procreativa, emergono conseguenze che stravolgono la vita della famiglia e alcuni valori primari: l’eliminazione delle figure di padre e madre, l’introduzione di insegnamenti obbligatori in materia di sessualità che hanno l’obiettivo di violare la funzione educativa della genitorialità, la legittimazione di pratiche procreative mortificanti per la donna. È difficile immaginare un documento che neghi più radicalmente il sostegno ai più deboli, i diritti fondamentali dell’infanzia, e sia in contrasto così netto con le Carte dei diritti umani. Si apre una prospettiva nella quale non tutti i bambini possono avere un papà e una mamma, che riduce la maternità a variante non necessaria per la nascita dei figli e la loro crescita, e che trasforma la scuola in strumento d’intromissione nell’educazione dei figli e trasmissione di ideologie contrarie alla naturalità dei rapporti familiari. Un’Europa che intenda sostenere questi princìpi e obiettivi è esattamente all’opposto di quella delineata e sognata dai suoi fondatori, per i quali la solidarietà per le nuove generazioni, era al centro di ogni progetto ed ogni attività delle istituzioni europee. Dobbiamo dire oggi che un’Europa che accetti l’egoismo e l’individualismo anche nelle relazioni umane elementari fa obiettivamente paura. Qualcuno potrebbe osservare che non solo sul tema della famiglia l’Europa nega la solidarietà, perché anche sul drammatico tema dei migranti, essa è incapace di decidere, di impegnarsi per l’accoglienza, e di fronte a uno dei maggiori drammi del dopoguerra, rinvia sempre tutto, è incapace d’ogni scatto autentico di amicizia e fraternità. L’osservazione non è estranea al tema della famiglia, perché l’Europa rischia oggi di dimenticare sé stessa, giunge al punto d’approvare un documento che insidia anche l’equilibrio della struttura familiare, prevede bambini che non abbiano una coppia di genitori, vuole eliminare gli «stereotipi» di maschio e femmina, ritiene che la sessualità possa subire ogni manipolazione, perfino quella della maternità surrogata. Tutto ciò effettivamente fa paura. Ma si può reagire, lo si può fare con la mobilitazione delle coscienze, con un impegno che gridi forte che vogliamo un’Europa capace di tutelare la famiglia nei suoi valori naturali di solidarietà interna e difesa dei più piccoli. Vale davvero la pena battersi per un obiettivo così nobile.
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