sabato 20 agosto 2011
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Ci sono episodi che valgono quanto un trattato sociologico. Qualche sera fa, una piazza storica nel pieno centro di Roma, cena con due amici e colleghi. L’aria è frizzante, il cibo squisito. Si discute e, fra argomenti frivoli e no, si finisce inevitabilmente a discorrere anche di debito pubblico e della crisi economica. Il tema è di forte attualità e finisce col richiamare l’attenzione del tavolo a fianco, praticamente attaccato (come spesso si usa a Roma per lucrare sugli spazi), al quale è seduta una coppia di mezza età, cortese e affabile. Ci guardano, ci riguardano, finché lui, modi da distinto professionista, non si trattiene: «Scusate se mi intrometto - attacca discorso con educazione -, non è che origliassi, ma mi è parso di capire che voi lavorate nel mondo dell’informazione». E allora ci offre il suo punto di vista: «Io leggo i giornali e vedo la tv. Si parla tanto dei costi della politica, ma secondo me il vero nodo è quello degli appalti e della corruzione che vi gira intorno. E’ lì che si disperdono fiumi di denaro pubblico. E poi c’è questo cancro dell’evasione fiscale, in questo campo siamo il secondo Paese europeo, è impossibile andare avanti così».  Non c’è che dire. La disamina è condivisibile. La cena prosegue. Poi arriva il momento del conto. I nostri due vicini chiamano il cameriere, che si avvicina e sulla tovaglia di carta stesa sul tavolino - nemmeno su un foglio a parte - scarabocchia una cifra: 50 euro, un ottimo prezzo per una buona cena a base di pesce. Peccato che la cifra non comprenda, ovviamente, l’Iva. Eppure, come nulla fosse, la coppia ringrazia il proprietario e si allontana, pienamente soddisfatta in apparenza. A noi, però, resta un’amarezza di fondo. Perché ti scopri così a pensare, nel cuore di una calda notte nella capitale d’Italia, che - pur non essendo certo il nostro episodio un campione statisticamente valido - questo Paese è un concentrato di radicate contraddizioni. Come in un perenne talk-show, conosciamo tutti i mali che ci affliggono, sappiamo tutti fornire una disamina anche brillante, produciamo tutti la nostra valida ricetta, ma alla fine ricadiamo tutti (e sottolineiamo tutti, noi inclusi) nei nostri "vizi". E ci scopriamo protagonisti di quello scollamento fra la realtà dibattuta e la quotidianità vissuta, che imputiamo spesso alla nostra classe dirigente. A quella politica che per prima in Italia non ha fatto della trasparenza fiscale una regola aurea, come provano gli obblighi tributari e contabili minimi che hanno i partiti politici, così come le fondazioni politiche e culturali che li fiancheggiano.Nuove leggi si sovrappongono ora a provvedimenti precedenti. Mentre ancora si attende il nuovo redditometro, versione rivista dello strumento nato vent’anni fa per scovare gli evasori, l’ultima legge in ordine di tempo (la manovra-bis) sulla carta prevede addirittura la chiusura per le attività sorprese a non rilasciare scontrino o fattura. Sarà davvero così? Ce lo chiediamo guardando il cameriere che, a pochi passi dal Parlamento italiano, si porta ora via la "tovaglia-scontrino" e i 50 euro più mancia. E ripensiamo anche allo stimato medico che pochi giorni fa, nel suo studio, ci ha fatto chiedere dalla segretaria 150 euro senza nemmeno proporci la ricevuta fiscale (e che stupore, per la nostra pretesa di riceverla…). Tutte azioni consumate alla luce del sole, ma anche filtrate - più o meno inconsciamente - nel sentire comune di tanti. È il devastante modello antropologico del "tanto, si fa così…". È anche per aver coltivato questo modello che ora ci troviamo quasi sull’orlo del baratro economico. Appesi alle indicazioni di un "podestà forestiero" (per usare l’espressione del professor Mario Monti) che ci indica rigorosamente cosa dobbiamo fare, per filo e per segno. Questa crisi vissuta in pieno agosto è anche un’occasione per fermarci a riflettere. E per esigere dalla politica che ci rappresenta un deciso cambio di marcia. A condoni e sanatorie abbiamo ampiamente fatto ricorso in passato. Non è di questo che si avverte il bisogno. Nella lotta all’evasione, come in altri comportamenti, servono azioni nuove e, forse, nuovi uomini e donne che le portino avanti. Gli italiani, stavolta, potrebbero capire la lezione.
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