venerdì 14 novembre 2008
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro Direttore, fra pochi mesi saremo chiamati alle urne per scegliere il settimo Parlamento europeo eletto direttamente dal popolo. La prima volta era stato eletto dai Parlamenti nazionali. Sarà forse a causa dei problemi che assillano la vita quotidiana o per la minaccia di una recessione globale che preoccupa molto chi ha ma anche chi non ha, ma non mi pare che le forze politiche e i partiti abbiano aperto un serio dibattito sul percorso e sull'attività effettivamente svolta nel Parlamento europeo. Né si parla dei programmi da attuare nella prossima legislatura. L'Unione Europea, nei trent'anni in cui il suo Parlamento è espressione diretta dei popoli, si è notevolmente ingrandita ed è nato l'euro, adottato da molti degli Stati che la compongono. Non è viceversa riuscita a darsi una linea politica estera comune. E anche in materia economica dinanzi alla recente crisi dei mercati finanziari non mi pare ci sia stata una linea comunitaria univoca: il compito di affrontarla e di risolverla è stato lasciato all'accordo fra i governi nazionali. In queste condizioni, cioè senza una moneta unica priva di eccezioni; senza una politica estera ed economica comune, senza una Costituzione approvata da tutte le nazioni che la costituiscono, l'Unione Europea tarda a realizzare la volontà di quanti, nell'immediato dopoguerra, volevano creare gli «Stati Uniti d'Europa» e a realizzare il sogno dei profughi italiani, polacchi e tedeschi che il 15 aprile 1834 a Berna, negli anni bui delle monarchie assolutiste, fondarono la Giovane Europa coltivando il sogno di una Repubblica federale europea. Le nubi che appaiono sullo scenario politico ed economico internazionale dovrebbero far accelerare il passo alla classe politica europea verso una maggiore unità di intenti e di propositi, abbandonando le suggestioni localistiche o campanilistiche, per dare maggiore forza, peso, autorevolezza al Vecchio Continente al fine di contribuire in maniera concreta ad assicurare la pace mondiale.

Luigi Celebre Milazzo (Me)

Questa sua lettera, caro Celebre, esprime con chiarezza le attese e le aspettative della parte più sensibile dell’opinione pubblica riguardo una politica europea che, finalmente, sia più vicina ai problemi veri della gente; una politica depurata dalla visione troppo burocratica e monetaria che, finora, l’ha resa spesso lontana dal cittadino, incomprensibile dall’uomo della strada. L’Europa dei popoli preconizzata dai suoi padri fondatori – i liberali illuminati dell’Ottocento e i leader della ricostruzione postbellica, da Adenauer a De Gasperi – era un grande disegno certamente economico, ma anche e soprattutto culturale, ideale, umanistico. Era, quello ideale, un Dna rilevante nella nascita dell’Unione; un codice genetico che con gli anni forse si è annacquato. Una riprova di tale deficit di memoria è stata purtroppo la mancanza di un esplicito riferimento, nel testo della Costituzione, alle radici cristiane del continente, ovvero a quella storia che ne ha formato l’identità. Speriamo che le istanze da lei rappresentate facciano davvero breccia nelle istituzioni, nei partiti, nella cultura politica di coloro che si apprestano sia a votare, sia a governare l’Europa in un passaggio storico cruciale, in uno scenario internazionale più che mai bisognosa di un baricentro sicuro. In questa chiave diventa illuminante andare a rileggere le parole che Papa Benedetto XVI, uomo autenticamente europeo perché universale, ha pronunciato il 24 marzo 2007 al congresso promosso dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece): «... Emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se... i governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la “ponderazione dei beni” sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI