sabato 9 giugno 2012
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Caro direttore,
in una mia precedente lettera parafrasavo una celebre frase di Karl Von Clausewitz dicendo che «l’economia è il proseguimento della guerra in altra forma». La "proposta" registrata da Avvenire del 7 giugno e pubblicata a pagina 6 non è una dichiarazione di guerra? "Mediobanca Securities", che in pagina definite il «team londinese» della banca d’affari milanese, propone un attacco ai titoli del debito tedesco attraverso la vendita massiccia degli stessi per far ragionare Angela Merkel… Buon lavoro.
Francesco Zanatta, Brescia

 

Come sa bene, caro signor Zanatta, anche su questo punto la pensiamo in modo simile: Avvenire, infatti, descrive da tempo la grande crisi in cui siamo immersi come una «grande guerra». Lo fa ovviamente senza compiacimento e con pressante allarme, aggiornando gli sviluppo sui vari fronti e registrando con precisione e sdegno i milioni e milioni di vittime dirette (i morti di fame) e indirette (i precarizzati, i demotivati e i senza lavoro) di una sregolata condotta "mercatista", come dice qualcuno, e di una logica di conquista e di profitto apparentemente asettica e in realtà insensatamente e crudelmente aggressiva. Detto questo, la provocatoria proposta a cui lei fa riferimento (cioè l’idea di mettere in difficoltà, con una sorta di attacco, i titoli del debito tedeschi per indurre Berlino a cambiare gioco, e aprire la via a una forte ripresa dello sviluppo politico ed economico della Ue) è, a mio avviso, solo un anticipo – ma in questo caso a fin di bene – degli inevitabili sviluppi futuri del conflitto in atto contro l’Eurozona. Se cadranno le difese mediterranee poi ci sarà (si sta già preparando) anche lo sbarco sulle coste atlantiche e, quindi, l’attacco alla linea del Reno, cioè alla "fortezza" Germania. Nessuno si salva da solo. Lo so che le immagini che ho appena usato richiamano alla mente eventi chiave dell’ultima fase della Seconda Guerra mondiale nel Vecchio Continente, ma tant’è. A questo siamo arrivati nella democratica e pacifica Europa di oggi. E poteva essere evitato da un’Unione che si fosse dimostrata – come ha recentemente invocato il cardinal Bagnasco – davvero viva e vitale Comunità di Stati. Da un’Europa capace di essere tempestiva e solidale nel far crescere se stessa, nel custodirsi con rigore e lungimiranza e nel rimodulare, diffondere e difendere il proprio modello di economia sociale di mercato. La pace (anche quella economica) richiede politiche attive e secondo giustizia e umanità, non puntigli accompagnati da irresolutezze e attendismi autolesionisti. Cambiare passo è possibile. E noi europei siamo in grado di farlo, ma il tempo stringe.

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