Stalking mortale ed evitabile
venerdì 23 giugno 2017

Ester si vergognava di quello che le stava succedendo: un uomo anziano che perseguitava proprio lei, adulta, sola, e con figli già grandi. Si vergognava, ma il suo comportamento era stato da manuale. Aveva seguito alla lettera ciò che da anni le forze dell’ordine consigliano alle donne. Non ignorate i segnali di allarme, non sottovalutate le minacce, denunciate alla Polizia o ai Carabinieri, recitano i vademecum antistalking. Lo Stato vi proteggerà.

E lei ci credeva. Ester aveva informato le amiche più care, che cercavano di non lasciarla sola. Nel 2014 aveva presentato un esposto alla Polizia. Poi aveva di nuovo chiamato i Carabinieri quando quell’estraneo l’aveva filmata. Lui era stato ammonito dal Questore – la prima delle sanzioni previste dalla normativa – gli era stato ritirato il porto d’armi e sequestrata la videocamera. Poi, passato in Procura, il fascicolo era stato archiviato. Ed Ester si era fermata. Non aveva presentato altre denunce, ma stava in guardia perché l’anziano continuava a tormentarla. E alla fine è stata uccisa con una crudeltà pari all’ossessione che l’uomo nutriva, davanti all’ospedale in cui lavorava come oncologa. «Per noi è una grande sconfitta», ha ammesso il capo della Polizia Franco Gabrielli. Dal 2009, quando è entrata in vigore la legge antistalking, sono state depositate più di 50mila denunce (fino al 2015). Non si possono mettere in prigione tutti i persecutori, ha detto ancora Gabrielli.

Ha ragione. Ma l’alternativa non è «tutti in galera» oppure «tutti liberi di uccidere». E soprattutto non si può liquidare il tristissimo destino di Ester con un cinico e rassegnato fatalismo, come se l’ennesimo femminicidio non fosse in alcun modo prevedibile né evitabile. Come un furto in una villa o un incidente stradale. Perché a Teramo c’era una donna oggetto di attenzioni moleste e un molestatore con un nome e un cognome, un fascicolo aperto e poi chiuso. Non un pericolo generico, ma una minaccia incombente, un persecutore che in piena libertà si è trasformato in un possibile assassino.

Ester aveva denunciato e aveva chiesto aiuto. Non è bastato. Tutto era tornato sulle sue spalle: lei, da sola, ha dovuto sopportare l’invasione di quell’anziano nella sua vita.Come in altri casi, l’evidenza dell’omicidio di Teramo è che le leggi antistalking, le aggravanti disposte alle pene, le nuove misure di prevenzione, i più generosi finanziamenti ai Centri antiviolenza (5 milioni all’anno per tre anni) non sempre riescono ad alleggerire la solitudine delle donne. Davvero Ester non poteva essere protetta dalle mani assassine di un persecutore di cui molti sapevano? Davvero non c’erano strumenti giuridici che consentissero di spostare l’attenzione sul carnefice, sottoponendolo a perizie psichiatriche prima che accadesse il peggio?

«Non stupisce che tante vittime rinuncino perfino a denunciare i propri aguzzini, visto la sostanziale inutilità del gesto», ha commentato ieri il direttore generale di Amnesty International Italia, Gianni Rufini. Ed è questo che inquieta di più: che le donne molestate scelgano il silenzio, che la paura l’abbia vinta. Che non si fidino di coloro che hanno il dovere di proteggerle e assicurano di volerlo e di saperlo fare.

Che non denuncino perché pensano che non serva a nulla, che nessuno le proteggerà. Che dopo anni di sensibilizzazione contro il femminicidio tornino a considerare le minacce e le persecuzioni faccende private. Che si rassegnino a soccombere. Lo Stato ha la responsabilità di dimostrare, presto, subito, che non è così, che non è «sostanzialmente inutile» denunciare i persecutori. Ester, a dispetto della sua tragica fine, non la pensava così.

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