mercoledì 29 maggio 2013
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Gentile direttore,
sono un ragazzo di 28 anni e le scrivo per raccontarle un’esperienza che mi ha fatto capire come oggi un uomo non abbia più diritto alla propria vita e al proprio seme, allo spirito e alla salute. Tempo fa mi sono innamorato di una ragazza, e, come credo debba fare ogni persona su questa terra quando è innamorata, ho iniziato a vivere con lei. Dopo un po’ abbiamo preso casa e poi abbiamo deciso di fare un figlio, nato e riconosciuto da entrambi. Un anno più tardi però lei ha incontrato un altro, ed è andata via con lui, senza farsi problemi. Mi sono ritrovato d’improvviso (e senza appello) a sapere dal tribunale che avrò diritto a vedere il mio bambino un pomeriggio a settimana. Mi sono sentito di morire. La mia vita interrotta, la vita che ho generato con amore, spezzata. Ho pensato (giustamente) di tentare di riprendermela con la forza, ma verrei arrestato. Forse in un luogo senza Stato... avrei più possibilità che in questo Stato. La vita come la conoscevo non esiste più. Inutile fare un altro figlio con un’altra donna se in qualunque momento anche lei avrebbe la facoltà di separarci, e rovinarci. Farò il prete o l’eremita, non ho intenzione di vedermi rubare la vita un’altra volta e neppure di generare un altro figlio orfano di padre. In fede.
Francesco G.
Caro Francesco, io credo che lei ormai non sia più un ragazzo, ma un uomo. Di più è un padre, e il suo non facile compito è riuscire a esserlo nonostante gli errori che ha compiuto, il primo dei quali – glielo dico con schiettezza – è stato di confondere innamoramento e amore, lo stare insieme e l’essere famiglia, la convivenza e il matrimonio. E oggi, gentile amico, quando una libera "storia" (ma anche, con qualche ammortizzatore in più, un regolare e regolato matrimonio) si rompe, la parte debole e soccombente non è sempre e solo – come un tempo – quella della donna. Paga pesantemente anche l’uomo. In certi casi paga soprattutto l’uomo, il padre. Provo a mettermi nei suoi panni e, da padre, mi sento morire anch’io. Penso soprattutto – perché questa è la questione che lei pone – che cosa avrei provato se le mie due figlie fossero state "tolte" dalla mia pur indaffaratissima vita quotidiana... E comprendo nel profondo il disperato senso di ingiustizia che lei prova. Ma ci pensi anche lei, caro Francesco: quanto questo dipende dalle leggi dello Stato e quanto dalle scelte che lei stesso ha compiuto? La sua libera decisione di «fare un figlio» con la donna in quel momento amata, ma non sposata, e la libera decisione di questa donna di «andarsene» con un altro «senza farsi problemi» sono due facce della stessa rivendicata "libertà". Amara libertà, per chiunque. Libertà irresponsabile – non si offenda, ma è così – per la quale arriva sempre un conto da pagare. Libertà con strani artigli, che lasciano segni nella vita ben più profondi di qualsiasi obbligo liberamente accettato. Non voglio farla lunga e non voglio farle un predicozzo (anche se non posso rinunciare a suggerirle di cambiare sguardo sulle scelte di un religioso eremita o di un prete, persone toccate da un Amore così grande ed esigente che la vita, loro sì, se la sono fatta "rubare" in eterno). Vorrei soltanto dirle, da uomo a uomo, che può solo cercare di essere davvero padre per questo suo figlio: lo sia per quanto può, per tutto il tempo che le è dato. Sia padre con la forza e la pazienza e l’amore che ha, e ne troverà sempre di più. Usi quel pomeriggio con suo figlio come se fosse una settimana intera, lo renda indimenticabile, semplicemente vero. Lei sa come, perché lei è padre e quel bimbo è stato, è e sarà figlio suo. Nessuna legge potrà mai renderglielo facile, nessuna legge potrà mai renderglielo impossibile.
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