Essere cristiani non è solo una questione di identità culturale
giovedì 10 marzo 2022

Caro direttore,

a molti è parso che il cammino sinodale voluto fermamente da papa Francesco per tutta la Chiesa sia una delle sue fantasiose creazioni poco radicate nella realtà. Infatti, ancora troppe persone, compresi membri del clero, resistono a lasciarsi coinvolgere dentro un’esperienza di Chiesa che oggi è necessario vivere per esistere. Diventa tanto più chiaro alla luce della guerra in Ucraina di questi giorni. Non bastava il terribile dolore che si è abbattuto su milioni di persone, le più fortunate in fuga, ma in maniera ancora più sconvolgente, si vengono ad aggiungere le parole di un vescovo, primate di tutte le Russie, che sostiene la guerra e la giustifica con collegamenti che hanno poca familiarità con le basi della logica. A detta sua, infatti, la distruzione della vita umana, che è quello che cade sotto i nostri occhi, non è lo scopo voluto da questa guerra decisa da Vladimir Putin; piuttosto la guerra sarebbe contro la cultura imperante che vuole togliere ogni identità culturale ai popoli che si riconoscono in determinati valori additati come cristiani.

È chiaro a tutti che il ragionamento di questo vescovo è insostenibile e non si capisce come da una capo religioso, formato all’intelligenza del Vangelo dell’inerme Crocifisso, possano uscire parole che giustificano e sostengono la violenza. Cristianamente è inaccettabile e non vi è affermazione o esempio dato da Gesù che possa avvallare tali dichiarazioni, chiamate omelie. Mai Gesù ha fatto suo lo stile della violenza e del procurare la morte. Mai!

Pur vestito da capo religioso, questo vescovo si è atteggiato a esperto politico, accusando genericamente il mondo occidentale di aver tradito le proprie radici cristiane. Infatti, la nostra cultura avrebbe interamente sostituto i valori di moralità fondati sulla legge divina con i disvalori di una cultura antropologicamente debole, perché incapace di chiamare i peccati con il proprio nome. Non è la prima volta, nella storia del cristianesimo, che si vede usare l’appartenenza religiosa per coprire un problema di identità culturale. Questa si forma con la pazienza dello studio e dell’ascolto, non con la prepotenza della violenza e delle armi.

La fede in Cristo può essere ridotta a un problema di appartenenza culturale? Se l’essere cristiani è solo un problema di identità culturale, allora non ha più senso credere alla missione degli apostoli, alla cattolicità della Chiesa, alla paternità universale di Dio. Il Vangelo, in duemila anni, è stato sempre principio di discernimento dentro ogni cultura, perché si impari a valutare tutto e a tenere ciò che è buono (1Tessalonicesi 5,21-22). È questo il primo principio della morale cristiana che si trova nel più antico testo scritto dall’apostolo Paolo.

La forma sinodale che papa Francesco intende dare a tutta la Chiese vuole uscire dalle strettoie di un’identificazione tra fede in Cristo e cosiddette culture cristiane. Queste ultime esprimono la propria fede nel contesto dei propri codici culturali, ma la fede in Cristo è un dono per tutti. Se in nome della propria appartenenza religiosa o culturale si riuscisse a vanificare la croce di Cristo, dono gratuito della paternità di Dio per tutta l’umanità, allora qui non si fa il gioco di Colui che vince, ma di colui che ha sempre perso.

L’esperienza sinodale è una grande sfida che chiede a tutti i credenti di essere memoria non di tradizioni umane, ma di essere segni viventi del Crocifisso risorto che non ha mai avuto paura di confrontarsi con nessuna persona né di fronteggiare alcun prodotto della mente umana. Le culture dei popoli e l’identità di ciascuna persona crescono con la luce mite del Vangelo e con il calore della carità, non con il fuoco incrociato dei cannoni. Questa situazione ci spinge a metterci, con maggior tenacia, dentro il cammino sinodale, perché, per noi che siamo ben al di qua del Volga, ignorare questo stile, oggi necessario, vuol dire rifiutare la possibilità di vivere il Vangelo nel nostro tempo. E se non possiamo viverlo oggi, quando?

Sacerdote e teologo, segretario generale dell’Assemblea sinodale della Diocesi di Concordia-Pordenone

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: