venerdì 19 settembre 2014
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Sarebbe un errore considerare l’invito dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi a colpire i cittadini degli Stati scesi in campo contro le crudeli milizie di Is come una dimostrazione di violenza cieca, frutto di un’arretrata cultura tribale. In realtà, fa parte di un uso sapiente e postmoderno del terrore come veicolo pubblicitario e di imposizione di questa organizzazione jihadista quale "marca premium" nell’offerta del terrore islamista.In questi giorni le forze di sicurezza australiane stanno demolendo una rete di affiliati al movimento che dovevano "punire" con violenze casuali l’impegno di quel Paese in Iraq. Apparentemente una sconfitta per Is, ma che si traduce in realtà in una vittoria mediatica, dato che genera una comprensibile inquietudine nelle opinioni pubbliche delle nazioni che partecipano alla coalizione anti-terrorista: "Ma perché difendere gli iracheni se questo ci fa diventare bersagli a nostra volta?", si chiede già qualcuno. Il fatto stesso di non avere obiettivi – chiunque può essere colpito – amplifica il "terrore del terrore". Ma questa stessa pragmatica capacità mediatica, Is la dimostra anche con il continuo rilascio di video e filmati di uccisioni e perfino con un recente filmato di minacce, realizzato quasi in stile videogioco.In realtà, i destinatari di tale studiata esibizione del terrore non siamo solo noi, possibili vittime; è anche una strategia per attirare volontari e finanziamenti da parte del mondo del radicalismo sunnita a cui guarda Is. Una strategia purtroppo efficace, come dimostra l’impetuosa popolarità del movimento negli ambienti ultraradicali e il flusso costante di combattenti per il jihad. Un successo che la storica organizzazione di riferimento del terrorismo violenza islamista, al-Qaeda, ha capito perfettamente. Il suo capo, al-Zawahiri, dopo avere a lungo osteggiato al-Baghdadi e il suo movimento e dopo averlo disconosciuto pubblicamente, ha ora offerto un’alleanza per "difendersi" reciprocamente e coordinare gli attacchi contro il nemico «dei crociati e dei sionisti». Una svolta repentina motivata non solo dall’avere un comune nemico, ma probabilmente anche dal timore di al-Qaeda di scivolare nelle retrovie del jihadismo, come un movimento che ha fatto sì la storia, ma si è poi perso per strada. Ancora una volta, i movimenti jihadisti dimostrano un pragmatismo e un’adattabilità che li rende estremamente duttili e reattivi. Non avrebbero potuto sopravvivere altrimenti alla campagna mondiale per stradicarli.Al contrario, nel variegato campo di chi combatte (o dice di combattere) il terrore continuano a imperare le divisioni, i boicottaggi e le esclusioni preventive. Al vertice di Parigi non c’era l’Iran, in parte perché il suo leader supremo, l’ayatollah Khamenei, aveva al solito intimato al governo del presidente Rohani di non fidarsi dell’odiato Occidente, in parte perché, in Usa, vi era chi storceva il naso verso una presenza iraniana. Ma soprattutto a causa del veto delle monarchie del Golfo.Le stesse monarchie sunnite che avevano contribuito a far crescere la follia jihadista proprio per combattere l’Iran sciita e che oggi appaiono come improbabili alleati dell’Occidente nella lotta contro quelle milizie.Se vogliamo apparire credibili ed essere efficaci, dobbiamo forse prendere esempio proprio dai fomentatori del terrore che combattiamo. Non nel senso di imitarne la brutale ferocia, ma nell’imparare a superare i miserabili calcoli di interesse nazionale e le rivalità geopolitiche. Una lezione che va appresa in Medio Oriente come in Occidente. Per questo è opportuno che Barack Obama chieda – e sembra intenzionato a farlo – l’approvazione dell’Onu, finora troppo silente e distratto sulla questione. Dobbiamo capire e far capire che questa battaglia contro le barbare violenze di Is non rappresenta l’obiettivo di una parte politica, ma di tutta la comunità internazionale. Come più volte ricordato da papa Francesco, il nostro sforzo non si deve limitare usare la forza contro la violenza brutale, ma deve puntare a riconciliare quelle comunità frammentate e a offrire una speranza di futuro. L’esatto contrario di ciò che vuole l’alleanza nera del terrore.
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