giovedì 14 maggio 2015
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Un passo avanti importante, quello dell’«agenda migranti» della Ue definita ieri a Bruxelles, in Commissione. Qualcuno lo ha chiamato 'mezzo passo' per la persistente timidezza nell’approccio al tema epocale dell’immigrazione, che si presta alla speculazione politica più bassa, come vediamo spesso anche nello schiamazzante cortile di casa nostra. Ma il cosiddetto 'muro di Dublino' – il regolamento europeo che impone ai profughi di restare a vita nel Paese di approdo, fonte di molti dissapori tra i Ventotto – inizia a sgretolarsi. Le quote con cui si ripartiranno le persone sbarcate nella Ue, aldilà dei formalismi di maniera, questo dicono.  È una vittoria italiana? Certo. E anche tedesca e francese. Una vittoria del nucleo dei grandi fondatori. Chi vuole guardare al bicchiere mezzo pieno, può ricordare il cammino fatto da quando nel 2009 l’Italia – poi condannata per questo dalla Corte europea per i diritti umani – respingeva i migranti in mare, verso la Libia, a seguito degli accordi col colonnello Gheddafi che aprirono la 'rotta orientale degli orrori' nel Sinai. I respingimenti, per inciso, sono pratica che alcuni Paesi membri – la Bulgaria e la Grecia – ancora attuano.  E non scordiamo le critiche ingenerose di alcune cancellerie europee a 'Mare Nostrum', l’operazione che ha salvato migliaia di vite umane, chiusa perché avrebbe fatto il gioco dei trafficanti incitando il flusso. Ieri, con l’introduzione di un criterio di equa accoglienza, a Bruxelles è stato riconosciuto il ruolo svolto da Roma e gli sforzi sostenuti – a lungo, con grande civiltà e in modo solitario, ma per conto di tutta l’Unione – al fine di garantire salvezza e riparo a tante persone. Chi vuole criticare l’Agenda, può dire che non è del tutto chiaro che cosa sarà questa più equa accoglienza, perché non sappiamo, in concreto, quanti profughi resteranno in Italia. E forse non si tiene pienamente conto del fatto che una persona non può essere 'assegnata' d’autorità alla Francia se invece vuol andare, per motivi familiari, in Germania, perché – inutile negarlo – quella stessa persona farà di tutto per trasferirsi 'illegalmente' nel Paese che è meta originaria del suo viaggio della speranza.  Ancora, è troppo poco il reinsediamento di appena 20mila profughi accolti dai campi mediorientali in questi anni di terribile guerra in Siria e di violenze dello Stato islamico sui cristiani e sulle altre minoranze religiose irachene che hanno messo in moto un vero esodo. Ma almeno l’Unione Europea finalmente ha iniziato a fare qualcosa di serio come soggetto politico degno dei valori sui quali si fonda e del premio Nobel per la pace che le è stato attribuito nel 2012.  Non tutta l’Eurtopa, per la verità, perché mentre i Paesi dell’Est mugugnano, Gran Bretagna (che preme ancora per i respingimenti), Irlanda e Danimarca si sono sfilate adottando la clausola dell’opt out (la rinuncia). Clausola egoista, che volentieri vorrebbero adottare anche alcune Regioni del Nord Italia. Ma proprio per fronteggiare le spinte antisolidali l’Ue dovrà aumentare, ogni anno, le quote di reinsediamento, perché l’emergenza sbarchi continuerà almeno finché ci sarà guerra nel Vicino Oriente, finché continuerà l’instabilità in Nordafrica e finché resteranno aggrovigliati i sanguinosi nodi del Corno d’Africa – Eritrea e Somalia – e del Sahel.  Anche lo stanziamento per i Paesi che accolgono, 50 milioni di euro da ripartire tra 5-6 Stati - rappresenta una cifra bassa. Per dare un’idea, l’anno passato l’Italia da sola ne ha spesi 650, quest’anno ne metterà a consuntivo almeno 800. Infine, c’è il nodo più controverso: il metodo da adottare nella lotta ai trafficanti. Se ne riparlerà lunedì al Consiglio europeo dei ministri degli Esteri e ci vorranno settimane probabilmente prima che l’Onu decida se dare o no via libera al 'bombardamento' dei barconi. Nel frattempo c’è chi ricorda che l’opzione militare metterebbe in pericolo più i migranti che i trafficanti. E non c’è neppure al momento alcun accordo con la Libia – con quale governo? – il cui assenso, come ha ricordato il capo dello Stato Sergio Mattarella, è indispensabile per un’operazione di questa portata, navale e area.  Insomma, ieri è partito un processo nuovo tra molte difficoltà su un tema chiave per il nostro futuro. Non è facile scardinare, come si è visto, l’idea pericolosa, arcigna e inutile (anzi, impossibile) della Fortezza Europa, ma forse si è cominciato a riaprire qualche spiraglio nel cantiere della vera Casa Europa.
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