Embrioni per la ricerca l’inutile spreco
mercoledì 14 giugno 2017

L’incerto destino della vita concepita in provetta e congelata La narrazione dei prodigi di cui si dice capace la tecnologia applicata alla procreazione umana copre con l’alone della gioia per la nascita di un bambino a lungo desiderato un intero catalogo di effetti collaterali che quasi nessuno si attarda a considerare, anche perché quasi nessuno li descrive nella loro crudezza: la percentuale di fallimenti e di coppie deluse ben al di sopra dello standard per accettare una qualunque procedura clinica; i costi elevatissimi a carico del sistema sanitario o dei privati per una tecnica dai frutti inadeguati allo sforzo emotivo, medico ed economico profuso; l’ingente esubero di embrioni ritenuti non adatti all’impianto, o semplicemente avanzati, e per questo sacrificati o congelati, in numero indefinito; lo stoccaggio a tempo indeterminato nei freezer di cliniche e centri specializzati di decine di migliaia di embrioni dal destino incerto.

Queste vite sospese sono il simbolo di una tecnica che per ottenere un successo – il «bimbo in braccio» – semina per strada un’infinità di embrioni: nel 2014 i cicli iniziati sono stati 90.711, le gravidanze ottenute 15.947, i bambini nati 12.658. Un’impressionante piramide rovesciata dove a ogni passaggio si perde vita. Vita umana, allo stadio embrionale ma innegabilmente vita individuale.

O forse c’è chi ancora contesta questo dato scientifico sempre più suffragato da prove? L’ultima l’ha prodotta Nature Genetics a inizio maggio pubblicando la ricerca dell’Università Politecnica Federale di Losanna (Svizzera) firmata da Julien Duc e Didier Tronto che con l’identificazione di fattori di trascrizione del genoma hanno mostrato che un embrione non è un agglomerato insignificante di cellule in attesa di prendere una forma biologica definita ma un essere umano in divenire, le cui istruzioni irriproducibili sono già tutte scolpite. Sezionarlo o congelarlo equivale a intervenire su questa natura, non su altro. Vale la pena ricordarlo 12 anni dopo i quattro referendum abrogativi sulla legge 40 andati falliti per volontà popolare che però una gragnuola di ricorsi giudiziari e di interventi della magistratura ha sostanzialmente disatteso, pezzo dopo pezzo.

Ma per quanto sia stata azzoppata, all’articolo 1, primo comma (dunque nella dichiarazione fondativa), la legge tuttora «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». E l’embrione non è forse «il concepito»? Ora gli inesausti detrattori di quelle regole che invece hanno risparmiato a lungo all’Italia l’avvilente supermarket della vita umana che impera altrove, con le spietate leggi del mercato al posto di quelle dell’etica, esigono che gli embrioni congelati – decine di migliaia, in crescita continua – siano messi a disposizione della ricerca scientifica, e per questo chiamano in causa anche l’assenso che avrebbero ottenuto ieri dal ministro dell’Istruzione. Trascurano almeno tre fattori, più un quarto, che ci permettiamo di rammentare.

Anzitutto, lo «spreco» che lamentano di fronte al fatto che sotto azoto liquido giaccia una risorsa «inutilizza e destinata, nel tempo, a distruzione» non è l’esito di una volontà perversa ma l’effetto dell’aver voluto smantellare il divieto disposto dal legislatore – e non per capriccio – di creare più di tre embrioni per ogni ciclo evitandone così la crioconservazione. Lo «spreco» è semmai di vite umane prodotte per poter scegliere l’embrione da impiantare. C’è poi il dato scientifico: per ottenere qualche informazione utile i ricercatori chiedono embrioni freschi, prodotti ad hoc, assai più significativi di quelli scongelati, dalla dubbia vitalità.

Terzo aspetto, risolutivo: nel 2012 Shinya Yamanaka si è guadagnato il Nobel per la Medicina grazie alla scoperta delle Ips, cellule riprogrammate in grado di soppiantare quelle estratte negli embrioni dal laboratorio alla corsia: perché chi insiste sugli embrioni rimuove questa che è la frontiera più avanzata cui è giunta la scienza? Infine, chi ora chiede di abbattere questa garanzia tracciata dalla legge a tutela dell’embrione non ha fatto davvero i conti con la volontà dello Stato e di chi lo rappresenta. Che certo conosce questi argomenti, e non può scambiarli per pregiudizi ideologici. Perché quando si parla di vita umana lo scarto non è contemplabile, neppure con le migliori intenzioni.

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