venerdì 23 maggio 2014
Al-Sisi verso la presidenza. Il Paese vuole voltare pagina, ma questa fragilissima democrazia ha più urgenza di sicurezza che di libertà.
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Cinquantatré milioni elettori saranno chiamati lunedì e martedì a scegliere – s’immagina con voto plebiscitario – chi sarà il nuovo presidente d’Egitto. cioè a scegliere tra il generale (anzi: l’ormai ex generale) Abdel Fattah al–Sisi e il suo sfidante, l'esponente di spicco della sinistra Hamdine Sabbahi. Inutile nascondersi dietro a una schiacciante evidenza: al–Sisi è l’uomo forte e insieme l’uomo giusto al momento giusto per una larga maggioranza di egiziani. Dopo due rivoluzioni, dopo centinaia di morti tra Piazza Tahrir, l’università, le moschee attorno a cui si addensava il potere e l’influenza dei Fratelli Musulmani l’Egitto chiede a gran voce di voltare pagina. Alle spalle c’è il lungo regime di Hosni Mubarak, succeduto a Anwar al–Sadat e caduto nella polvere in una rivolta cominciata all’insegna della democrazia e della laicità, della quale però si era impadronita l’ala politica del salafismo, quei Fratelli Musulmani messi al bando per settant’anni, che tuttavia riuscirono a far eleggere il proprio leader, Mohammed Morsi. Un anno di governo all’insegna dell’inefficienza, dell’arroganza e dell’inettitudine, un familismo superstizioso viziato di ideologismi e di intolleranza in particolare nei confronti della robusta minoranza cristiana (il 10% degli egiziani e di confessione copta). Un altro feticcio da abbattere, che la seconda rivolta di Piazza Tahrir ha rigettato nella polvere.

Da questa immensa e a volte eroica turbolenza – non solo al Cairo, anche Alessandria, Port Said, Assuan hanno vissuto in prima persona il vasto rogo della rivolta – è uscito al–Sisi, confermando come la fragilissima democrazia egiziana ha finito per appoggiarsi nuovamente agli uomini con le stellette, gli unici in grado di restituire una parvenza di ordine alla società. Il prezzo da pagare in questi casi è dovunque lo stesso: meno libertà in cambio di sicurezza. Lo stesso patto sociale che – complice l’Egitto - si va facendo strada in Libia, anch’essa in cerca di una stabilità che solo manu militari è possibile garantire. I Fratelli musulmani sono tornati fuori legge. Morsi e centinaia di suoi sodali verranno processati. E i loro elettori hanno già cambiato bandiera: la crisi, la disoccupazione, il crollo del turismo e dell’export hanno inferto ferite profonde. Che ora il nuovo uomo forte cercherà di rimarginare.

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