sabato 17 dicembre 2011
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Gentile direttore,
ho letto del caso di Sara, la sedicenne di Trento i cui genitori si sono rivolti al tribunale per farla abortire. Alla fine la ragazza ha abortito comunque (per sua libera scelta, dice il padre) e quindi l’epilogo non è stato certo dei migliori. Ma a mio avviso quello su cui si dovrebbe riflettere più a lungo è la premessa: già l’anno scorso la ragazza aveva fatto ricorso alla 'pillola abortiva' per evitare un’altra gravidanza. Sono madre da pochi anni e mi chiedo: che razza di genitori sono questi, che non riescono a parlare con la loro figlia se non tramite la cultura della morte? Per evitare una gravidanza si fa ricorso all’aborto e basta, non importa se chimico o chirurgico; non si parla di prevenzione, di cultura della sessualità e dell’amore?
Poi mi fermo un attimo a riflettere e mi dico che forse questi genitori hanno anche provato altri discorsi, ma non sono riusciti a trovare un canale di comunicazione efficace con la loro figlia. Certo non spetta a me giudicare, ma situazioni del genere mi spaventano. Se un domani dovesse succedere anche a me? Se, nonostante tutti i buoni propositi educativi miei e di mio marito, i miei figli decidessero comunque di percorrere altre strade? Sono profondamente convinta che la famiglia abbia la responsabilità principale dell’educazione dei figli, ma la società di oggi non sostiene certe scelte educative, anzi, le avversa come retrograde e nemiche del 'progresso'. Forse sarebbe necessario un dibattito maggiore su questo aspetto, per cercare di capire come la Chiesa può aiutare (non sostituire, perché nessuno può sostituirsi alla famiglia) noi genitori nell’affrontare questa emergenza educativa; come far capire che cultura dell’amore non vuol dire fare sesso con chiunque, ma amare fino in fondo una persona; il che vuole anche dire rispettare il suo corpo e le sue scelte in tema di sessualità. Mi scuso se i miei pensieri risultano un po’ confusi, ma notizie come questa mi fanno temere di essere inadeguata al mio ruolo di educatrice familiare.
Miriam Valentini
 
Lei non ha dei pensieri confusi, cara signora Valentini, ma va dritta al cuore del problema. Tutti noi genitori ci sentiamo, a volte, inadeguati. L’importante è che non ci facciamo sovrastare da questo sentimento. Anche se il rumore di fondo pseudo-progressista è forte, lo è ben di più la voce di una madre e di un padre che davvero amano e insegnano che cos’è l’amore.
Da genitore e da cronista so che questo può non bastare a evitare ai nostri figli sbagli persino tragici, ma è indispensabile per aiutarli a crescere e, se cadono, a rialzarsi.
Sono d’accordo con lei, poi, sul ruolo di ausilio alla famiglia che può e deve svolgere la Chiesa anche in questo campo. E sono contento che i nostri vescovi abbiano posto un tale impegno tra gli obiettivi che è essenziale perseguire nel tempo della «sfida educativa». Su Avvenire cerchiamo già di dare spazio ed eco al dibattito e al lavoro in corso. Possiamo fare di più? Ci proveremo.
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