giovedì 10 febbraio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Ho sempre pensato che in un Paese come il nostro dove l’economia è caratterizzata da una peculiare presenza di piccole e medie imprese la politica industriale debba innanzitutto togliere più che mettere: togliere vincoli all’esercizio dell’imprenditorialità piuttosto che mettere indicazioni e incentivi alla sua realizzazione. In questo senso il "piano crescita" proposto ieri dal governo contiene molti spunti positivi, anche se ha la grave carenza di rimandare al futuro, si spera assai prossimo, il tema della semplificazione.A partire dalla proposta di riforma degli articoli della Costituzione – ammesso e non concesso che metter mano all’articolo 41 sia davvero necessario – è bene affermare con nettezza che difficilmente questi cambiamenti, da soli, potranno fare nascere e durare nel tempo anche una sola impresa. Lo scopo ultimo del segnale inviato credo sia quello di fare sentire apprezzata e valorizzata l’azione di centinaia di migliaia di imprenditori che finora hanno operato in un contesto culturale ostile che ha provocato, come naturale conseguenza, l’asfissiante attenzione dello Stato attraverso il controllo severo di molti suoi apparati. Controllo che, estrema ironia della sorte, quasi mai è stato in grado di fermare chi agiva in mala fede o, addirittura, da fuorilegge, più o meno organizzato.Non sottovaluterei questa componente culturale e motivazionale. Affermare che una cosa è buona, che attiene al bene comune, non ne riduce di un nulla la difficoltà realizzativa, ma ne sottolinea la dignità e l’importanza strategica. Così non è stato per i lunghi anni di crescita economica che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra che ci ha dato lo Statuto dei lavoratori, non quello dell’impresa, la concezione dell’imprenditore in chiave padronale e non di colui che rischia per realizzare qualcosa di positivo, l’impresa come principale teatro di un conflitto tra poteri e classi non come ambito di costruttiva cooperazione tra diversi talenti.Sarebbe grave, come molti commentatori hanno invece fatto negli scorsi giorni, svalutare e minimizzare la portata di questi pronunciamenti. Poi, certo, occorre concentrarsi (e valutare) sui singoli concreti provvedimenti. Ne segnalo due perché mi pare abbiano anch’essi una valenza simbolica (doppiamente simbolica, visto che indicano una interessante direzione, ma non mettono in campo risorse aggiuntive). Il riordino degli incentivi per le imprese propone infatti la riduzione dei trasferimenti a pioggia, la semplificazione delle regole di accesso alle agevolazioni e una riserva del 50% del totale delle risorse da destinarsi alle piccole e medie imprese. Così, da una parte si afferma definitivamente l’importanza di questo segmento dimensionale di aziende e, dall’altra, la volontà di sostenere solo le singole imprese che abbiano dimostrato di essere in grado di stare sul mercato. Il pacchetto di decisioni che riguardano il Mezzogiorno ribadisce, altresì, la volontà di rilanciare la sfida, anche in chiave di sviluppo economico, in questa parte del Paese sempre più bisognosa di un cambio di marcia. Interventi infrastrutturali, defiscalizzazione e incentivi per le imprese con crediti di imposta automatici e selettivi per chi investe in ricerca e assume laureati devono servire a indicare la strada a chi voglia contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di quelle regioni.La speranza, come sempre in questi casi, è che tutto non finisca con un sia pure importante pronunciamento. Questo, infatti, è solo l’inizio di un lungo impegno che pretende saggezza e concretezza, non slogan.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: