domenica 12 settembre 2010
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Altre tre vittime, altri tre caduti sul lavoro, nuovi numeri – esseri umani, in realtà – che si aggiungono alla dolorosa statistica delle cosiddette morti bianche, alla lista di quanti a sera non tornano dalla fabbrica o dal cantiere, all’elenco di coloro che hanno dato la vita per un magro salario e un misero risarcimento postumo alla famiglia in lacrime e nel bisogno.Di fronte alla tragedia avvenuta ieri a Capua manifestare sentimenti di dolore e costernazione per le tre vite stroncate da una cisterna maledetta che andava bonificata è dovere etico e civico al quale nessuno può sottrarsi, pur nella consapevolezza che il dolore e la pietas sono inadeguati ad esprimere l’indignazione che coglie al ripetersi di drammi siffatti, frutto di sostanziale incuria per la sicurezza di chi lavora e di mancato rispetto delle regole, prima che di fatalità.Non basta neppure – anche questo deve esser chiaro – manifestare solidarietà di facciata, a parole, alle famiglie delle vittime. Sappiamo qual è di solito l’epilogo triste di queste vicende: i congiunti vengono tacitati con una manciata di soldi, ai processi – quando pure si celebrano – le parti civili si ritirano, se dei colpevoli vengono individuati se la cavano con poco.Diciamolo, allora. Diciamo con forza e senza perifrasi che la vera espressione di solidarietà a queste famiglie dovrà sostanziarsi in primo luogo in un equo risarcimento materiale. La vita umana non ha prezzo, non è monetizzabile, ma assicurare ai superstiti un’esistenza dignitosa è comunque un dovere. In secondo luogo, genuina manifestazione di solidarietà a queste di Capua e a tutte le altre famiglie delle vittime di morti bianche potrà venire dall’adozione di ulteriori misure atte a fare in modo che simili tragedie non abbiano più a verificarsi. Altrimenti restiamo alle chiacchiere e alle discussioni accademiche buone a tacitare qualche coscienza ma assolutamente inidonee a rendere più sicuri determinati ambienti di lavoro.Troppo frequentemente la cronaca si occupa di morti per asfissia all’interno di cisterne o di spazi chiusi equiparabili. Altrettanto frequentemente emerge che una delle vittime ha perduto la vita nel generoso quanto vano tentativo di portare soccorso ai colleghi in difficoltà.Sono morti che non si possono sempre attribuire a fatalità. Fatalità, al limite, potrebbe essere la caduta da un ponteggio per la rottura accidentale di un sostegno, ma in certi casi no, in certi casi basterebbe usare un autorespiratore che permetta di non inalare esalazioni venefiche.Non sappiamo quali siano nel dettaglio le disposizioni da adottare in questi casi essendo la normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro complessa, astrusa, a volte contraddittoria. Certo, in una cisterna non si sta in apnea. È troppo allora chiedere che venga imposto per legge a tutte le aziende di far usare autorespiratori a chiunque debba accedere ad una cisterna (qualunque ne fosse stato il contenuto) e a chiunque si trovi ad operare all’esterno di essa? È troppo auspicare che l’imposizione venga poi fatta rispettare con estremo rigore, assieme a tutte le altre che davvero tutelano la salute e la vita di chi lavora? Nessuna impresa che effettui operazioni subacquee fa immergere un palombaro privo di scafandro. È proprio tecnicamente assurdo o economicamente insostenibile imporre adeguate misure di sicurezza per salvare vite umane?
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