sabato 6 agosto 2011
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Con le tempeste dei mercati e le cifre dei dissesti finanziari, più ancora del 2008 riaffiorano in Occidente e in Europa antiche paure che forse abbiamo dimenticato. Paure di fallimenti che portano con sé il destino di Stati, nazioni intere, quindi di ciascuno di noi, del nostro modo di vivere, delle nostre aspettative. Il linguaggio macro-economico si esprime con categorie fino a ieri sconosciute, formula ipotesi impensabili solo pochi mesi addietro. Gli Stati Uniti possono fallire, un’Agenzia può decretarne l’insolvenza. Se ciò non è accaduto è perché il Congresso si è accordato nell’alzare in alto l’asticella del fallimento, come a dire che la malattia non è scomparsa ma si è escluso il male dalle patologie riconosciute. Ancor più imprevedibile è il fatto che, mentre gli Usa evitano l’insolvenza con un compromesso, la Cina li rimprovera e sostiene che il default non è affatto scongiurato. E il presidente della Bce Jean-Claude Trichet si dichiara preoccupato per l’incertezza generale in tutta l’area dell’euro.Sono scenari da incubo che, presi alla lettera, prefigurerebbero fratture lancinanti negli assetti economici internazionali. Chiunque è indotto a pensare che, se falliscono gli Usa, la bancarotta della Grecia, della Spagna, o altri Paesi europei sarebbe quasi inevitabile; con la conseguenza di un malessere che ci colpisce tutti, quasi muti per la paura del peggio. Scopriamo un Occidente fragile e incerto in quelli che sono stati per due secoli i suoi capisaldi, le sue fortezze economiche. E temiamo che l’Europa, l’euro, la stabilità, possano crollare da un momento all’altro vanificando un lavoro politico ed economico di oltre mezzo secolo. Affiora il timore tutto umano, direi esistenziale, che i risparmi di una vita vadano in fumo, che le certezze personali, familiari, di stile di vita, svaniscano da un momento all’altro.La prima cosa da chiederci, in questi giorni di crisi e quasi di panico, è se siamo in grado di farvi fronte con una forza morale e politica adeguata, e la risposta purtroppo è negativa. Lo è perché siamo divisi, astiosamente divisi, con una concezione della politica che è degradata sempre più, toccando i punti più bassi nella storia repubblicana, fino a scivolare nella difesa di interessi egoistici, di gruppo, personali, perfino in un delirio da gossip che oggi ci appare sciagurato e autolesionista. Abbiamo dissipato così una capacità di coesione e di resistenza che oggi sarebbe necessaria. Solo adesso ci rendiamo conto di quanto i ripetuti richiami di Benedetto XVI e dei vescovi italiani al fondamento morale della politica, diretta a tutelare il bene comune anziché egoismi particolaristici, e quelli di Giorgio Napolitano alle ragioni dello stare insieme, tenersi uniti con la condivisione di valori comuni, non siano mai stati appelli retorici, o ripetizioni di cose ovvie.Altre domande riguardano la nostra capacità di risposta a quanto sta accadendo, rivedendo le priorità di una politica e di una economia rese troppo euforiche dal trionfo del modello capitalistico-finanziario. La capacità di previsione dei grandi centri di analisi e decisione economica si è rivelata di cortissimo respiro, lascia attoniti per macroscopici errori di valutazione, per scelte fatte a tavolino nell’assemblare paesi ed economie a diversissimo livello di sviluppo. Lascia sgomenti il predominio esercitato dai protagonisti della finanza nel decidere il destino di interi agglomerati produttivi, con giudizi dettati cinicamente a tavolino, prescindendo dallo sviluppo reale delle singole economie. Tutto ciò, però, non cancella la responsabilità di ciascuno di noi, che in Occidente ci culliamo nella convinzione di poter tenere alto uno stile di vita, negli acquisti, nei consumi, nel modo di pensare, che corrisponde al più puro individualismo, evita di gettare lo sguardo sugli altri, sui loro bisogni, sulle loro esigenze più elementari. Forse è il caso di soffermarsi sul corto circuito che si è venuto a creare tra queste patologie, dalle quali ci siamo fatti guidare per troppo tempo, reintroducendo concetti di solidarietà ed equilibrio che devono guidare il mondo economico come ogni altro settore dell’attività umana.
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