martedì 15 marzo 2011
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Le fumate scoppiano con un botto secco e s’alzano a forma di fungo, sono esplosioni nella centrale nucleare con cui ieri sera cominciava l’evento temutissimo: la fusione nel reattore. Ora è terrore pieno: se un’esplosione fa crepare il cemento armato, attraverso i varchi le barre di uranio, ridotte a fango bollente, possono contaminare l’ambiente. Non abbiamo la lingua per descrivere quel che sta succedendo. Tutto il lungo evento è stato indicibile, in ogni fase. Il terremoto, il maremoto e l’esplosione nella centrale nucleare non sono come credevamo. La memoria li incamera per sempre, e inglobandoli si altera. Come il terremoto ha spostato l’asse terrestre di 10 cm e l’isola di Honshu di 2,4 metri, così queste immagini riplasmano il nostro cervello. Ci cambiano antropologicamente.La nostra lingua e la nostra fantasia si adattano. Non potremo più usare espressioni come "un’onda anomala", perché è sbagliata. Il maremoto non è un’onda che arriva e ti sbatte addosso con un urto frontale, è l’oceano che s’alza di venti metri e corre con la velocità di un jet verso la terra e la ingoia, spiagge case strade ferrovie treni finiscono sul fondo, diventano il nuovo fondo. Le case, sollevate e trasportate, per un tempo incalcolabile conservano la loro sagoma, non si deformano ma galleggiano e ruotano, poi di colpo si sfasciano, sparpagliando il contenuto sull’acqua, uomini e mobili. Le navi ruotano in tutte le direzioni, come se fossero caricate sulla schiena di un mostro che vuole scrollarsele di dosso. Noi vediamo la catastrofe come ce la filmano gli elicotteri, ma gli elicotteri fan parte della scena, perché sono il braccio dell’umanità libera, che non può aiutare, vicino all’umanità imprigionata, che chiede aiuto. Vista dagli elicotteri, la catastrofe, su una costa di 400 chilometri, crea una metamorfosi del mondo: ingoiato e vomitato dal maremoto il paesaggio non è più quello, c’è gente che ritorna dov’era la propria città e non la riconosce, cammina sui rotoli di fango col terrore che siano corpi umani.Assurdamente, dallo sterminato manto d’acqua che copre quel che prima era pianura e città, salgono fumi neri e brillano fuochi rossastri. L’acqua si sposta, i fuochi pure. Come se galleggiassero. È una visione spiritica, il non-immaginabile s’incarna. Vedendo contemporaneamente in tutto il mondo la stessa visione, tutta l’umanità, in tutte le lingue, pensa la stessa cosa: troppo potente la Natura, troppo debole l’uomo. Le immagini creano ipnosi: è la fascinazione del super-umano sull’umano. Portati al controllo anti-radiazioni, gli uomini e i bambini allargano le braccia in silenzio come prigionieri. Migliaia di controlli, ieri trenta positivi.È stato possibile quel che era impensabile. Qual era il massimo pericolo in Giappone? Un terremoto di grado 7 della scala Richter. Le difese erano calibrate su quell’urto. Ma è arrivato un grado 9, e le difese si sgretolano. Noi italiani stiamo pensando di costruire le nostre centrali, qual è il massimo urto che può scuoterle? La caduta di un Boeing a pieno carico, in picchiata, da novemila metri d’altezza. Bene, le costruiremo resistenti a quell’urto. Tutto il mondo ragiona sul modello giapponese: prevedere il peggio e opporgli il massimo. Quel modello è in crisi. Abbiamo di fronte un nemico che non conosciamo, il nemico più antico e più nuovo, la Natura.Abbiamo attraversato tutte le epoche combattendo popolo contro popolo, la nostra storia è fatta di guerre tra di noi, la guerra di resistenza "contro" la natura (che crea anche il brutto, e sa anche distruggere) non l’abbiamo, come umanità, neanche impostata. La catastrofe giapponese eccita l’istinto della competizione che oggi non è guerra popolo contro popolo, ma gara mercato su mercato: le azioni delle società giapponesi crollano, ieri hanno perso il 6,18%, i mercati stranieri ne approfittano. In soccorso del Paese colpito vanno gli Stati del mondo alla spicciolata, ognun per sé, come civiltà e religiosità gl’insegnano. Non vanno tutt’insieme come umanità unita. Era questo l’antico sogno leopardiano. Resta ancora un sogno.
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