sabato 2 ottobre 2010
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Caro direttorele scrivo dall’Ecuador «a reti unificate». Oggi (ieri notte per chi legge, ndr) abbiamo vissuto un tentativo di colpo di stato. Non entro né nel merito né nelle ragioni che hanno portato la polizia a sequestrare – così ci hanno detto alla televisione – per qualche ora il presidente Correa. Abbiamo dovuto evacuare l’Università dove lavoro e rinchiuderci in casa. Ho acceso la televisione per capire cosa succedesse. A ogni cambio di canale, mi apparivano le stesse immagini, le stesse parole, gli stessi volti. Durante il colpo di stato, il governo ecuadoriano ha obbligato tutti i canali televisivi, pubblici e privati, a ritrasmettere il segnale della televisione di stato. Una sola voce. Una sola fonte di informazione. È la propaganda che ritaglia e crea tanto il significato come il significante. Vivo a Quito e non so cosa sia successo. Un invito a riflettere per chi, a casa nostra, in Italia, parla, in forma ambigua, della libertà di stampa.

Ivonne Escobar, Quito (Ecuador)

La sua testimonianza, gentile signora, è preziosa. La tesa e confusa situazione in Ecuador, nazione in cui lei vive e lavora, è oggetto anche oggi sulle pagine di Avvenire di cronache attente e puntuali. Ma la breve riflessione che ci invia sottolinea un aspetto fondamentale e mai abbastanza in primo piano in vicende come quella che si sta svolgendo nel Paese sudamericano (ma anche in altre vicende assai meno concitate e drammatiche...). Lo scontro tra una verità ufficiale «a reti unificate» e una realtà che diventa difficilmente leggibile e precipita nell’ambiguità. Lei che vive a Quito non riesce a sapere che cosa stia effettivamente accadendo nella capitale ecuadoriana: e cioè se sia il presidente in carica a essere stato «assediato» e ad aver rischiato un «golpe», o piuttosto sia la democrazia a subire un assedio e a rischiare grosso sia il Parlamento e chi sta (o si stava spostando) all’opposizione dei progetti «rivoluzionari» del presidente Correa. Io so che i fatti sono tutt’altro che limpidi e che la sua acuta preoccupazione trova eco forte e pressante nelle parole della Chiesa locale. Ieri, i vescovi locali non si sono limitati a esecrare ogni violenza e sopraffazione e a invocare legalità e dialogo, ma hanno sottolineato l’«importanza della libertà di stampa e di espressione» e hanno chiesto che sia garantita in «modo completo». Quando un leader o un gruppo al potere si proclama sotto attacco e cancella quelle libertà il segno è eloquente, e sempre terribile.
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