giovedì 23 agosto 2012
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I fan juventini strepitano al complotto. I tifosi avversi denunciano il vittimismo bianconero. Tutto perché la Corte di giustizia federale ha confermato ad Antonio Conte, allenatore della Juventus – campione d’Italia e recente vincitrice della Supercoppa – la squalifica di dieci mesi. Sentenza peraltro non definitiva, dovendo ancora pronunciarsi il Tnas (Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport).Oggettivamente, la vicenda non è chiara. La giustizia sportiva si pronuncia sulla base di convinzioni, anche senza prove provate, e deve fare in fretta. Ma è sempre stato così. Oggi la sentenza finisce in prima pagina e riscalda gli animi perché coinvolge la società calcistica più potente d’Italia, quella che muove più denaro, con più tifosi, più lettori di gazzette e più abbonati alle tv a pagamento. In passato, ad esempio sei anni fa, su convincimenti altrettanto e forse ancor più impalpabili, squadre meno grasse sono state penalizzate di punti, abbastanza per non disputare la Champions, con danni economici di decine di milioni di euro. Senza tanto chiasso.Difficile esprimere pareri autorevoli. Per esserlo, dovrebbero esprimersi i non tifosi. Ma i non tifosi ignorano la vicenda, che anzi li infastidisce. E allora? L’unico dato incontrovertibile è la pena. Iniqua. Assurda. Persecutoria. «Caccia alle streghe» grida Andrea Agnelli. Ma che pena è, e quale danno oggettivo comporta? Conte è un allenatore. Un non addetto ai lavori potrebbe pensare: squalificarlo significa impedirgli di allenare, con grave danno oggettivo a lui e alla squadra. Ma non è esattamente così. Conte non potrà sedersi in panchina alla domenica. E non potrà presentarsi davanti alle televisioni. Dal lunedì al sabato guiderà la squadra a tutti gli effetti, la allenerà, imposterà la partita, deciderà la formazione. Per un calciatore, la squalifica è l’esatto opposto. Durante la settimana può allenarsi ma alla domenica non può giocare.Il danno per Conte è, dunque, oggettivamente irrisorio. Ieri ad esempio Beppe Bergomi, ex calciatore, campione del mondo 1982, che oggi vive rilasciando opinioni, rilasciava questa opinione: «La questione Conte peserà relativamente, visto che può allenare durante la settimana». Addirittura c’è un Gianni Rivera che da sempre minimizza: a contare è il lavoro durante la settimana, alla domenica in panchina basta... basta un Carrera (meritevole d’ogni stima, sia chiaro), che ha guidato da bordo campo la Juventus nella vittoria contro il Milan al Trofeo Berlusconi.Equa o iniqua che sia la condanna, il danno è davvero minimo. Per la squadra. E per l’allenatore? Guai a sottovalutare il dato più sottovalutato: il calcio è un giuoco (con la u) ma soprattutto uno spettacolo, che regala ai suoi attori fama – tanto effimera quanto inebriante – infilandoli in milioni e milioni di case italiane, europee, di tutto il mondo. Spettacolo che ha come protagonisti anche gli allenatori, affabulatori cortesi o scostanti, capaci di prendere a calci nel sedere un collega o a cazzotti un proprio calciatore. Nel bene e nel male, una popolarità da far perdere le traveggole. All’allenatore squalificato, chiunque egli sia – lo insinuiamo sottovoce – potrebbe mancare proprio quello che a noi sembra il contorno ma per lui è un piatto forte: il microfono con i fari e l’occhio goloso della telecamera. La diretta con primissimo piano, le smorfie, la battuta, la polemica, la fama che solo la tv può dare. Se non vai in tv non esisti più. Ma è solo una bassa insinuazione.
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