Durano i costi della guerra
domenica 2 aprile 2023

La guerra tra Russia e Ucraina sembra non trovare fine e questo spiega perché molti temano un’escalation fino al confronto nucleare. Nel contempo essa è una guerra che si sta dimostrando estremamente “costosa”, in primo luogo in termini di vittime ma anche in termini economici. Sembra perciò utile un’ulteriore riflessione su questo punto, dopo quella sviluppata qui da Leonardo Becchetti il 23 marzo scorso. Tutti i Paesi occidentali stanno sostenendo infatti l’Ucraina sia sul piano finanziario sia a livello militare. A distanza di poco più di anno dall’inizio della nuova aggressione russa, pertanto, si cominciano a trarre dei bilanci in merito al costo di questo conflitto non solo per i Paesi direttamente belligeranti ma anche per i Paesi terzi che, come l’Italia, stanno indirettamente partecipando allo scontro.

Secondo l’Ukraine Support Tracker sviluppato all’interno del Kiel Institute for the World Economy, l’assistenza a favore del governo di Kiev, fino al mese di gennaio 2023 è stata pari a quasi 139 miliardi di euro. Tra i Paesi donatori, gli Stati Uniti d’America sono stati i primi sostenitori con un impegno che ha superato i 73 miliardi di euro, circa 44 destinati al sostegno militare. L’Unione Europea in sé, come organizzazione, è il secondo donatore con poco meno di 30 miliardi di euro. Tra gli stati membri, la Germania è il primo sostenitore con 6,15 miliardi di cui 2,36 per aiuti militari. Segue la Polonia con un sostegno complessivo di 3,56 miliardi di euro di cui 2,43 per aiuti militari. L’Italia è il quarto Paese Ue per sostegno, con poco più di un miliardo di euro di cui 0,66 per aiuti militari.

Complessivamente, il sostegno militare che l’Ucraina ha ricevuto dalla Ue è pari a 62,24 miliardi di euro. Questo conflitto in pratica avrà un impatto, seppur differenziato, sulla finanza pubblica dei Paesi sostenitori. Per l’Italia, questo impegno andrà sicuramente a gravare sul debito pubblico che aveva raggiunto nel 2021 il 150% del Pil. In pratica, per ogni euro presente in Italia, come collettività ne abbiamo 1,5 di debito. Questo rapporto è destinato inevitabilmente ad aumentare nel 2022 anche in virtù dell’accresciuta spesa militare e del sostegno garantito all’Ucraina. Il “peso” del debito pubblico sull’economia è da sempre oggetto di discussione e gli economisti non hanno una visione comune in merito agli effetti sulla crescita e la stabilità delle economie.

Le investigazioni empiriche più recenti mostrano che livelli elevati di debito hanno un impatto negativo sui tassi di crescita dell’economia. Questo è particolarmente vero quando i tassi di interesse sono elevati poiché i risparmiatori preferiscono rendimenti sicuri piuttosto che partecipare al capitale di rischio delle imprese, quotate e no.

Proprio l’aumento del debito spiega perché i tassi di crescita registrati in Inghilterra durante la rivoluzione industriale fossero comunque molto bassi se paragonati agli standard attuali a causa della partecipazione britannica in numerose guerre che era necessario finanziare. In ogni caso, oltre all’impatto negativo sulla crescita, l’aspetto probabilmente più significativo dell’aumento del debito unitamente all’aumento dei tassi di interesse, sarà costituito plausibilmente dall’aggravarsi delle disuguaglianze economiche già presenti nella nostra società.

L’aumento del debito pubblico equivale, infatti, a una tassa regressiva. Solitamente la ricchezza finanziaria è distribuita in maniera diseguale tra i risparmiatori e quindi il pagamento degli interessi sul debito determina tale inevitabile redistribuzione regressiva del reddito. In pratica, tutti i contribuenti sono chiamati a ripagare il debito mentre solo alcuni essi – e precisamente quelli che dispongono di un patrimonio finanziario più elevato – godranno dei rendimenti dei titoli di stato. Dato che i detentori di titoli di stato sono risparmiatori che hanno redditi e ricchezze più elevati ci troviamo di fronte a una situazione di distribuzione regressiva dei redditi per cui le famiglie con minore ricchezza e reddito finanziano – seppur indirettamente – le famiglie con maggiore ricchezza e reddito. Il debito pubblico è in pratica una sorta di Robin Hood al contrario: prende ai poveri per dare ai ricchi. Inutile dire che questa regolarità nella redistribuzione regressiva del reddito tende financo ad acuirsi nei periodi di fragilità economica - in particolare se essi sono caratterizzati, come in questa fase, da elevata inflazione.

Inoltre, nel momento in cui le Banche centrali decidono di fissare tassi di interesse più elevati, i rendimenti dei titoli di stato aumentano, trascinando anche la domanda di questi da parte dei risparmiatori più ricchi, mentre famiglie meno abbienti da un lato non avranno capacità di risparmio e dall’altro subiranno probabilmente una maggiore imposizione fiscale o, comunque, godranno di minori trasferimenti e servizi pubblici. Tali effetti regressivi, peraltro, si declinano anche nel lungo periodo andando a costituire la base di disuguaglianze intergenerazionali. In breve, un ulteriore aumento del debito pubblico è un “costo” sostanziale che discende da questa guerra e che avrà un impatto altrettanto sostanziale sul benessere non solo corrente ma anche delle future generazioni.

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