Dura e utile lezione
giovedì 18 gennaio 2018

Il crollo della natalità francese è un fatto che deve preoccupare tutta Europa. Se la Germania in ragione della sua forza economica è considerata la "locomotiva" del Continente, la Francia – in virtù della sua politica fortemente natalista – per anni ha rappresentato il modello cui tendere per assicurarsi un futuro demografico e la stabilità dello Stato sociale. Ora il mito vacilla: nel 2017 sono nati 17mila bambini in meno rispetto all’anno prima, è il terzo calo consecutivo della stessa entità, e il numero di figli per donna è sceso a 1,88, un tasso di fecondità ancora alto rispetto alla media europea di 1,6, ma in veloce ridimensionamento rispetto ai 2 figli del 2012. Uno choc, insomma. Non a caso la stampa transalpina ieri usava termini come «declino inquietante» e drammatica «fine di un’eccezione».

La crisi del "serbatoio" europeo di bambini rappresenta però una straordinaria opportunità per riflettere su quali sono le politiche familiari più adatte in questa fase storica e quali errori non dovrebbero essere commessi. L’analisi è ancora più necessaria nel momento in cui quasi tutti i partiti italiani hanno promesso un’attenzione speciale alla natalità in vista delle elezioni del 4 marzo, e alla vigilia della richiesta ufficiale di un "patto" trasversale su questo tema che il Forum delle famiglie avanzerà oggi a tutte le forze politiche.

La frenata delle nascite in Francia si deve ovviamente a molti fattori, con le ragioni culturali che si uniscono a quelle economiche. Si è visto ad esempio che il calo maggiore riguarda le donne più giovani, tra i 24 e i 35 anni, mentre l’età del primo figlio è salita a 30,6 anni, segni entrambi che i percorsi di studio e carriera giocano il loro ruolo. È anche probabile che l’instabilità lavorativa renda oggi più difficile anche per le coppie d’Oltralpe fare progetti a lungo periodo. Così come è possibile che le nuove generazioni abbiano attese diverse in termini di numero di figli rispetto al passato. Un segno di forte mutamento dei costumi si trova peraltro nella crescita dei Patti di convivenza (185mila), che hanno ormai quasi raggiunto i matrimoni, in forte calo (221mila).

Fin qui nulla di nuovo rispetto a quanto si registra all’incirca in tutti i principali Paesi dell’Occidente, dove la dimensione culturale dell’individualismo appare in avanzata a scapito di una prospettiva orientata all’altruismo e alla condivisione responsabile. Di fronte alla crisi economica scoppiata nel 2008, però, e che ha generato ovunque cali delle nascite, finora la Francia aveva rappresentato una felice eccezione dovuta proprio alla forza della sua politica familiare, generosa e aperta a tutti. Adesso questa diga è venuta meno. Come mai? Anche se non può essere dimostrato con certezza, l’impatto dell’azione di François Hollande, che nei suoi 5 anni di presidenza ha tagliato a colpi d’accetta alcuni degli storici sostegni alle famiglie, penalizzando soprattutto la classe media, è indicata da molti osservatori come una causa importante. Dal 2012 Hollande tra le altre cose ha introdotto limiti per gli assegni familiari, il bonus nascite e il plafond del "quoziente fiscale", ha limato i benefit alle neo mamme e non è riuscito ad aumentare i posti al nido e migliorare i piani per favorire la conciliazione famiglia-lavoro. Una strada che la presidenza Macron sembra purtroppo voler proseguire colpendo l’universalità delle misure e minando la dimensione natalista delle politiche familiari francesi a favore di una visione ridistributiva.

In buona sostanza la Francia, pur con 60 miliardi di spesa alla voce "Famiglia e figli" (l’Italia ne impiega circa la metà), si trova con un sistema di sostegni meno adeguato di un tempo a rispondere all’emergenza demografica. Perché diventando sempre meno inclusivo, cioè non più aperto a tutte le famiglie, ha probabilmente eroso il capitale della fiducia.

La denatalità è un problema comune a tutti i Paesi europei, e in un contesto in cui l’equilibrio della popolazione nei fatti è assicurato solo dagli immigrati, nessuno sembra possedere la formula magica.

La Svezia, con buoni risultati, ha puntato da tempo su un modello che prevede tasse elevate, servizi gratuiti a tutti, incentivi universali e un contesto 'family friendly' a 360 gradi. La Germania ha investito molto negli ultimi anni su asili nido, misure per la conciliazione e assegni universali ai genitori, e oggi si prepara a sorpassare la Francia. La Polonia, col tasso di fecondità più basso del Continente (1,34), ha introdotto un corposo bonus per ogni figlio dopo il secondo, senza limiti di reddito, e lanciato una curiosa campagna di spot ispirata alle 'salutari' abitudini dei conigli.

Ogni Paese ha la sua storia e le sue tradizioni. L’Italia si trova in una fase di profonda rielaborazione delle politiche familiari. La lezione francese insegna che solo una visione pragmatica, non ideologica, e di lungo periodo, riesce a fornire risposte adeguate al desiderio di genitorialità. I soldi sono necessari, insomma, almeno quanto i fattori culturali e morali. Ma se sono spesi male ogni sforzo diventa vano.

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