mercoledì 29 gennaio 2014
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Durante una trattativa, e quella per Electrolux è tra le più difficili vista la posta in gioco, è sempre bene non commentare le singole fasi e registrare l’evolversi degli accadimenti: la teoria e l’esperienza dicono infatti che i vantaggi di prima mossa, la ricerca di un buon posizionamento, lo studio reciproco, il bluff, il rilancio portano le parti in causa a nascondere i propri obiettivi concreti per acquisire informazioni utili nel prosieguo della negoziazione. Fa parte dunque del gioco che nemmeno sui numeri oggi in discussione ci sia concordanza di vedute. Il sindacato dice che la proposta avanzata dall’azienda prevede un dimezzamento dei salari da una media di 1.400 euro mensili a 700, la riduzione dell’80% del premio aziendale di 2.700 euro annuali, il blocco dei pagamenti delle festività, il taglio del 50% dei permessi sindacali e delle pause e la non progressione degli scatti di anzianità. L’azienda risponde negando la veridicità di questi dati e rilanciando con una presunta richiesta di una riduzione di 3 euro all’ora lavorata, pari a 130 euro in meno al mese in busta paga. Ma, appunto, è ancora il gioco delle parti che è bene osservare e lasciare agli addetti ai lavori.Fin da subito è invece possibile avanzare due riflessioni. La prima. Negli stessi giorni a poche centinaia di chilometri di distanza molte piccole e medie imprese emiliane, prima terremotate e più recentemente alluvionate, versano in condizioni di grave difficoltà per il proseguimento della loro attività senza ricevere la dovuta attenzione in termini di intervento concreto da parte di chi dovrebbe farlo e di copertura mediatica correlata.Sono potenzialmente a rischio un numero di posti di lavoro paragonabili a quelli di Electrolux, ma, ciononostante, a fare la differenza è l’ordine dei fattori. Risulta più “grave” il prodotto di una multinazionale per quattro stabilimenti per migliaia di posti di lavoro di quello che deriva da qualche centinaio di aziende per trenta/quaranta occupati ciascuna. Anche perché in questo secondo caso è facile immaginare si conti sulla presenza di qualche centinaio di imprenditori disposti a tutto, come sempre e insieme ovviamente ai propri collaboratori, per risolvere i problemi e venirne ancora una volta fuori. Curiosa forma di declinazione del concetto di sussidiarietà: poiché sappiamo per esperienza che avete la grinta e la capacità di cavarvela da soli, soli vi lasciamo. Sempre, ma soprattutto di questi tempi i posti di lavoro sono merce preziosa in qualunque zona del Paese, in qualunque settore, in tutti i tipi di impresa, ma stiamo attenti che a privilegiare i grandi contenitori, per esempio le multinazionali, si finisce con il non fare il nostro interesse di lungo periodo.E qui interviene la seconda riflessione. Siamo e dovremo continuare a essere un’economia a trazione manifatturiera e quindi ben vengano imprese che portino, oltre a occupazione, sapere innovativo e diffusione nel territorio di competenze gestionali e abilità operative, ma senza dimenticare che le multinazionali sono ovviamente attratte, in una logica economica, da incentivi pubblici e facilitazioni normative. Non a caso molte di queste hanno scelto di operare in Regioni o Provincie a statuto autonomo caratterizzate fino a poco tempo fa da discreti mezzi finanziari e adeguata libertà normativa; non a caso, altresì, finiti i primi e ridottasi la seconda molte di queste aziende stanno minacciando di andarsene alla ricerca, spesso anche in territori a noi vicini, di minore costo del lavoro e maggiore libertà di azione. Finché questo “avere” – sapere diffuso – e questo “dare” – incentivi pubblici – sono in equilibrio ha senso fare tutto il possibile, come ha dimostrato anche l’intelligente azione di Confindustria Pordenone, per proseguire nel rapporto. Quando a prevalere nelle decisioni fosse però l’esclusivo costo del lavoro, tipica logica da settore maturo, occorre avere ben chiaro davanti a sé che il mantenere a tutti i costi ancora per qualche tempo quei posti di lavoro, così importanti oggi per chi li occupa, rischia realisticamente di rinviare il problema e anche la sua soluzione in termini di riconversione delle competenze delle persone verso settori più innovativi. Quanto infatti appare diversa la logica che ha portato nello scorso anno al cambio di proprietà di alcune medie imprese nazionali: a fronte dello stesso alto costo del lavoro nessuno dei nuovi proprietari, anche se stranieri, ha spostato le sedi di lavoro riconoscendo le elevate e insostituibili competenze specifiche di quelle “maestranze”, accumulate in anni di esperienza con i precedenti imprenditori. La qualità delle persone e delle capacità conta, conta sempre.
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