venerdì 4 febbraio 2011
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Caro direttore,da anni mi arrovello intorno a due oracoli che sono stati creati nel Paese: la magistratura e il giornalismo. Ho 66 anni e di errori gravissimi i due oracoli ne hanno commessi tanti, ma loro sono intoccabili, spesso idolatrati e a pagare gli errori sono i cittadini. I casi della vergogna sono tanti, ricordo Tortora, Andreotti, Calabresi, il biondino della Porsche, un anconetano 16 anni in galera per un omicidio non commesso, l’ingegner Zornitta a carico del quale si fabbricavano le prove in laboratorio per dimostrare che era Unabomber, Eluana Englaro portata a morte... Ciò premesso le chiedo una risposta a due domande. 1) Perché la magistratura è così indiscutibile e idolatrata, nonostante sia l’organo burocratico dello Stato che ha impunemente compiuto gli errori più gravi? 2) Perché sui giornali l’indagato è colpevole prima della conclusione dei processi?Penso che riflettere seriamente sarebbe utile non solo alla gente, ma anche agli stessi oracoli. Mi rivolgo a lei che è la mia "ultima spiaggia info-formativa", sia perché cristiano sia perché persona equilibrata. Non sono solo ad aspettare una risposta. Grazie e cari saluti. Luigi Corradini, UdineNon ho mai creduto agli oracoli, gentile signor Corradini, e ovviamente non ho intenzione di cambiare proprio ora atteggiamento. Ma continuo a credere alla possibilità della giustizia e della buona informazione e, dunque, mi dolgo anch’io per le storture, le forzature, gli errori e le autentiche tragedie che lei richiama con rapida ed efficace sintesi. Detto questo, sperando di meritare sempre la fiducia che mi accorda, vengo subito al sodo. E rispondo, come so e posso, alle sue due domande.1) Non mi sembra proprio che la «magistratura» sia sempre e comunque «idolatrata» da tutti. Da alcuni indubbiamente sì e non sempre con cristalline intenzioni, ma ci sono altri che la attaccano spesso e volentieri, anche frontalmente e sovente a sproposito. Rifiuto questa logica, sono infatti di quelli che stimano essenziale il lavoro dei magistrati e che si attendono – e chiedono con fermezza – che l’opera di giustizia sia sempre serena e inattaccabile. Questo perché, come ho già ricordato, nessuno può porsi al di sopra della legge, nessun cittadino (qualunque incarico ricopra) e nessuna toga (qualunque indagine conduca o di qualunque grado di giudizio abbia responsabilità). Alla legge, noi cristiani lo sappiamo bene, si può certamente obiettare in situazioni nelle quali princìpi più grandi – quelli che definiamo "fondativi" – vengono messi in questione, ma la delicata e concreta affermazione al cospetto di una norma del primato della coscienza morale è quanto di più nobile e disinteressato si possa immaginare, è una scelta difficile che comporta, quasi sempre, un sacrificio personale e, a volte, anche l’assunzione di un serio e consapevole rischio da parte di colui che obietta. Dunque, non è mai un’affermazione di potenza o di prepotenza. Ritengo poi che tutti debbano rispondere delle proprie azioni e dei propri errori, anche i magistrati. E, l’ho detto e scritto cento volte, anche i giornalisti.2) Arriviamo così alla seconda domanda. E la risposta stavolta è semplice e dura: i giornali sputano sentenze anticipate quando noi giornalisti facciamo male il nostro lavoro. Chi fa cronaca non vive sulla luna, è chiaro, e a volte un completo distacco nella narrazione di un fatto o di una vicenda processuale è oggettivamente difficile. D’altra parte – se ci pensa, pure lei ne converrà – la bellezza e la forza di certi articoli nascono anche dalla partecipazione, addirittura dalla passione, di chi li scrive. Ma partecipazione non può mai significare partigianeria. E aderire acriticamente e precipitosamente a un atto d’accusa contro chicchessia, renderlo già condanna attraverso il verdetto – spesso irrimediabile – di un titolo di giornale o di un pubblico ludibrio televisivo rappresenta una terribile forma di violenza. Ha insomma molte ragioni, caro amico lettore, nel porre le lancinanti domande che ha sottoposto anche a me. Lei mette il dito in una piaga attorno alla quale non si affannano medici, ma untori. E come ai tempi della peste, per fermare il male, occorrerebbe ricorrere a un fuoco purificatore. È una metafora, sia chiaro. Ma ci vorrebbe proprio un bel falò di certe vanità e impunità mediatiche (e penso ad appartenenti alla mia categoria, ma non solo) e di tutte quelle vane e minuscole "riformine" della giustizia, approvate o solo evocate, che non dànno svolte ma vertigini polemiche e finiscono solo per ostruire la via a una riforma maiuscola. Fatta non per dispetto dei magistrati, ma per rispetto dei cittadini e della civile responsabilità che deve avere chi amministra un bene così prezioso. (M.T.)
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