giovedì 29 novembre 2012
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​Gentile direttore,
le scrivo a proposito dell’iniziativa "Libera la domenica". Anche la Chiesa italiana ha appoggiato la raccolta di firme, adducendo la motivazione, invero condivisibile da ogni cristiano, che nelle feste il discepolo di Cristo dovrebbe seguire il terzo comandamento e trascorrerle (le feste stesse) in famiglia; tutto giusto, tutto vero, ma... E i lavoratori turnisti? I dipendenti delle Forze dell’ordine? Gli ospedalieri? I farmacisti di turno? Chi lavora nei trasporti? I ristoratori e i camerieri e cuochi loro dipendenti? I dipendenti dei call center telefonici (quante volte li abbiamo chiamati anche di domenica, per esempio, per malfunzionamenti del nostro telefono cellulare)? I giornalisti e lavoratori delle tipografie che lavorano per i quotidiani che escono al lunedì? I tele e radio giornalisti?... l’elenco sarebbe assai lungo e finanche noioso: tutti questi lavoratori (e molti altri ancora), non avrebbero anch’essi diritto a santificare la festa e a viverla con la propria famiglia? Si è forse meno cristiani se si lavora nei giorni festivi? A meno che tale iniziativa non sottintenda l’idea che esistono lavoratori di serie A (i piccoli commercianti e loro dipendenti), e poi tutti gli altri, turnisti nei servizi essenziali e no (per esempio, è obbligatorio andare al ristorante la domenica? Non credo sia un servizio essenziale).
Certo, a tutti piacerebbe osservare il terzo comandamento con la propria famiglia, mogli, mariti, genitori, figli, amici, ma non è possibile, altrimenti il Paese si fermerebbe totalmente. Se, quindi, l’iniziativa "Libera la domenica" fonda la propria ragion d’essere sulle motivazioni economiche (assolutamente comprensibili) e spiegate dalla Confesercenti che si preoccupa della sorte dei piccoli negozi incalzati dalla grande distribuzione, è certamente da appoggiare. Se, nel contempo le si vuole dare un tono religioso, sarà interessante verificare, qualora la rivendicazione portasse i frutti sperati dai promotori, quanti dei lavoratori dipendenti di piccoli esercizi commerciali e quanti dei loro datori di lavoro si precipiteranno nelle rispettive parrocchie di appartenenza a santificare la festa.
Luciano Turco
Coloro che chiedono di "liberare la domenica" dalle liberalizzazioni scriteriate e si battono per questo, gentile signor Turco, possono avere e in effetti hanno diverse motivazioni. E può anche darsi che non tutti siano di quelli che con cattolica regolarità "santificano la festa". Anzi posso dirle che sono quasi sicuro che solo alcuni dei promotori della raccolta di firme (www.liberalaladomenica.it) siano tra i cosiddetti "praticanti". Ma questo non toglie affatto senso e bellezza a un impegno che giudico saggio e civilissimo a favore del rispetto di un giorno di festa e di riposo che i cristiani hanno chiamato "del Signore" e a Lui hanno dedicato e vogliono continuare a dedicare. Le eccezioni che lei cita (elencando molti dei lavori che si esercitano anche di domenica) non fanno – proprio come insegna un proverbio – che confermare la regola. La regola che c’era e che spero torni a esserci: perché non tutti i giorni sono uguali e ci sono giorni che bisogna riconoscere diversi. E in essi riconoscersi, e attraverso di essi poter riconoscere più agevolmente – più liberamente appunto – ciò che vale, chi e che cosa conta: la famiglia, la comunità, la riflessione, l’incontro, l’ascolto, la preghiera... Non è un problema di "tono" religioso. Ma una questione di vita. Di tempi e di spazi di vita e, per chi crede come noi crediamo, del tempo e dello spazio di Dio.
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