martedì 4 febbraio 2014
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Diciamolo subito, a scanso di equivoci: l’Italia non esce affatto bene dal primo report della Commissione Ue sul tema della corruzione. E aggiungiamo anche che, purtroppo, non è una novità leggere che il nostro è uno dei Paesi in cui la malapianta delle bustarelle continua ad alimentarsi e a produrre i suoi frutti velenosi. Non a caso, i sondaggi di Eurobarometro registrano che praticamente tutti gli italiani (97%) giudicano il fenomeno dilagante e che l’88% ritiene la tangente il mezzo più semplice e veloce per accedere ad alcuni servizi pubblici. Proprio così: "servizi pubblici". Cioè dovuti al cittadino in base a una o più leggi che li prevedono. Ecco, allora, che sorgono almeno un paio di riflessioni a integrazione del lavoro svolto dagli esperti di Bruxelles.La prima assume più che altro la forma di un’obiezione, riguardante il dato secondo cui la corruzione in Italia (quantificata in circa 60 miliardi) rappresenterebbe in termini monetari la metà di quella dell’intera Unione. Ci piacerebbe sapere come stanno davvero le cose in altri Paesi membri. In realtà – ha ammesso il commissario agli Affari Interni Cecilia Malmstrom – i nostri 60 miliardi (comunque non giustificabili, ripetiamo) non sono raffrontabili con la «stima» relativa al resto dell’Europa comunitaria, in quanto diversi Paesi, in particolare quelli considerati maggiormente a rischio, non forniscono alcun parametro a riguardo, neanche approssimativo. Questo per dire che, anche se corrotti, siamo almeno più "trasparenti" di altri.Non consola, è ovvio. Così come non consola che l’Ue punti l’indice soprattutto sulla nostra legislazione di carattere penale, ripetendo così l’errore in cui troppo spesso incappano i politici di casa nostra. Dire che la legge anti-corruzione è ancora «insufficiente», infatti, può essere vero ma non coglie il cuore del problema. Lo stesso dicasi per normative definite ad personam, come la ex-Cirielli, che vanno a incidere sui tempi di prescrizione dei processi. Eppure Tangentopoli insegna: il solo ricorso alla leva giudiziaria non è risolutivo. Forse, invece, il vero male italiano è a monte, in quel corto circuito letale (ai vari livelli, nazionale e locali) tra una politica ancora ampiamente "spartitocratica" e una macchina amministrativa lenta, paludosa, impenetrabile e spesso incontrollabile. Laddove abbondano le nomine politiche e il potere di piccoli e grandi burocrati prospera, inevitabilmente, la corruzione.
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