Da Gedda a Gadda, liberi pensieri e un sogno su Calcio e domenica
sabato 19 gennaio 2019

Caro direttore,
sogno un mondo dove chi va allo stadio invece di ammazzarsi e irridere belluinamente quelli di un altro colore torni a casa e confonda la realtà coi libri come faceva Don Chisciotte. L’altra sera tornando da Gedda ho cambiato una vocale e sono andato da Gadda. Carlo Emilio Gadda. Quello di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, “La cognizione del dolore”, “Eros e Priapo”, libri dove muoiono donne. Quello che ha inventato il termine «male oscuro» ripreso da Giuseppe Berto. Ho pensato al pasticciaccio, il garbuglio o gnommero, il caos creativo di cui il Calcio vive dal gol casuale alla psicologia complessa di un calciatore sudamericano «le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti». Il pasticciaccio milanese di prendere due giocatori bianconeri come minimo indecisi se non malati nella volizione, per pochi mesi e poi restituirli senza gloria. Uno, Bonucci, faceva rima con la Liliana Balducci uccisa in via Merulana. L’altro, Gonzalo Higuain si chiama come il Gonzalo Pirobutirro protagonista de “La cognizione del dolore”, il capolavoro ambientato nel ventennio fascista in una Brianza sudamericanizzata (del resto tra Inter e Milan si contano 14 calciatori sudamericani ) . Nel libro un uomo legato in modo controverso alla madre mostra tutte le sue nevrosi e viene colto dal male oscuro che lo porterà nelle braccia della perfida Albione dopo avere, forse, ucciso la madre. Sogno una domenica senza Calcio prima del meriggio. Un mondo dove la domenica a mezzogiorno si abbia ancora nel cuore il calore del sabato del villaggio, magari davanti al costato di un trentatreenne chiamato Cristo, e non solo davanti alla priapesca tartaruga di un trentatreenne chiamato Cristiano Ronaldo.
Gabriele Bronzetti, Bologna


Grazie, caro amico. Ci voleva un medico di valore (e di penna buona) come lei per quella ferita aperta che è diventato anche per me lo «sport più bello del mondo», i cui reggitori e protagonisti non sembrano più capaci di compiere gesti – cioè di imbastire partite e dopopartite, ma prima ancora prepartite – che aiutino a indicare e dimostrare al mondo un altro bel modo di essere «casa comune» per tutti gli uomini e tutte le donne. Una ferita aperta che – almeno nel mio caso, ma vedo che lei mi è compagno – non è diventata una frattura. Vorrei ma non posso, infatti, volgere definitivamente disgustato la testa da un’altra parte; vorrei ma non posso ignorare quel che accade nei coni di luce accesi sul rettangolo di gioco, malgrado le sempre più dense ombre degli affaristici dintorni; vorrei ma non posso abbandonarmi a una delusione mista a indignazione per il male tutt’altro che oscuro dell’universo pallonaro. Mi piace il Calcio, e tifo per la “mia” Inter (che da quest’ultimo pasticcio non era fuori per suo merito). Nonostante Gedda, nonostante la già lunga catena di errori di cui quella finale di Supercoppa italiana giocata in terra d’Arabia, al confine con la guerra e dentro l’illibertà, è solo l’ultimo seppur pesante anello.

Non posso, insomma, dire che lei sia misteriosamente riuscito a riconciliarmi col Calcio, perché lo amo senza conciliazione né riconciliazione di consapevolezza (delle storture) e di passione. Ma posso garantirle che la sua lettera mi ha fatto gustare un modo di pensare e dire, anche letterariamente, il Calcio che non è affatto estraneo alla migliore tradizione giornalistica italiana e, soprattutto, alla speciale sensibilità dei cronisti di questo nostro quotidiano.

Grazie, ancora. E non smettiamo il sogno di liberare la domenica anche dalle palle perse, recuperate, calciate e – ovvio! – dalle palle incatenate dai diritti tv. Può darsi che i padroni dell’etere e delle società continuino per interesse a svuotare di Calcio la domenica e a riempirne quasi ogni altro giorno della settimana, e allora noi cerchiamo ostinatamente di rendere irreversibile e luminoso questo processo. Facciamolo per amore, per tutto l’amore che manca al Calcio e che non si riduce certo a un segno della croce prima di entrare in campo o agli occhi e le dita al Cielo dopo un gol. Facciamolo per l’Amore che lei dice, che è per noi tutti e per Colui al quale non solo lei e non solo io guardiamo.

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