sabato 24 maggio 2025
Perché in un mondo che fa di tutto per ignorarsi, farsi male, odiarsi, milioni di persone sono state invase dalla gioia? Perché siamo ancora uomini e fratelli. Se solo servisse di lezione ai potenti
I festeggiamenti della squadra del Napoli per lo scudetto

I festeggiamenti della squadra del Napoli per lo scudetto - Fotogramma

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E, adesso, sfido chiunque a proporre una spiegazione che abbia un minimo di razionalità a quello che è successo a Napoli e in tante altre città d’Italia e del mondo, venerdì scorso quando un pallone – un innocuo pallone, non una micidiale bomba atomica – è entrato in una porta dello stadio “Maradona” anziché nell’altra. Un boato. Un’esplosione di euforia. Un miscuglio di adrenalina, gioia, sudorazione, imprecazioni, tachicardia, urla, abbracci, balletti improvvisati, saliva ingoiata, occhi spalancati.

Per favore, vi prego, fermatevi. Vi prometto che lo faccio anch’io. Ci troviamo di fronte a un fenomeno più importante di quanto possiamo credere. Fermiamoci, chissà che la partita di calcio di venerdì sera non ci aiuti a fare un passo avanti per tentare di capire questo mistero immenso che è l’uomo. Fermiamoci, senza paura di fare brutta figura. Non diamo niente per scontato. Mettiamo da parte le tecniche sportive, i miliardi e gli imbrogli che girano attorno al mondo del calcio, i problemi creati alla città. Non sono queste le domande che da venerdì sera mi arroventano il cervello. Perché milioni di persone sono state invase dalla gioia? Perché qualcuno ha corso il rischio di farsi venire un infarto? Perché in un mondo che fa di tutto per ignorarsi, farsi male, odiarsi, c’è gente che senza ritegno, senza vergogna, rinunciando a quel rispetto umano che sovente ci imprigiona, ha voluto esprimersi in tutta libertà? Ma, li avete visti? Si abbracciavano, si baciavano, cantavano, saltavano come quando si viene morsi da un serpente a sonagli. Gridavano. In tante piazze della mia regione, per l’occasione, sono stati sistemati dei maxischermi. Perché quella partita – per essere goduta nella sua interezza - non poteva essere vista in solitudine. Il dolore, a volte, può anche essere gestito in solitudine, la gioia, no. La gioia deve essere condivisa con qualcuno che ti capisce, che sta vivendo i tuoi stessi sentimenti, le tue stesse emozioni, le tue stesse paure. Incredibile, gli occhi di milioni di persone sono fissi su un pallone stupido preso a calci da uomini che giocano a fare i bambini. Giocano. Bellissimo, ritorna il verbo giocare, un verbo che gli adulti hanno rinunciato a coniugare per se stessi, lasciandolo in eredità ai figlioletti e nipotini. E, invece, no.

Anche dopo la maggior età, anche quando occupano posti di responsabilità, anche dopo la pensione, gli esseri umani, hanno bisogno di giocare, di essere illogici – perché di questo si tratta –, di sognare. Hanno bisogno di pregare, di chiedere, cioè, a qualcuno che sta da qualche parte e che ne sa più di loro, un suo intervento. Hanno bisogno di volersi bene, sentirsi coccolati. Hanno bisogno di confidarsi, di dire all’amico fidato: «Sai? So che non si dice, ma l’avvicinarsi della morte mi mette una certa inquietudine. Ti va di parlarne?». Venerdì, allo stadio, in piazza del Plebiscito, in tante case, chiese, oratori, circoli sportivi, credo che Dio, come sempre fa, si stesse intrufolando tra noi per parlarci ancora una volta. Per dirci di non cadere nella trappola di chi crede di usare troppo il cervello e si intestardisce a non voler capire, che, per funzionare bene, la mente deve fare pace con il cuore. Solamente insieme, questi due signori, possono arrivare a una qualche accettabile conclusione. Mente e cuore devono smetterla di guardarsi in cagnesco. Non sono rivali ma gemelli siamesi. Credo che Dio volesse ricordarci che il denaro - per il quale siamo disposti a sacrificare tanto nostro tempo - dona comodità ma non felicità; da solo è più povero della stessa povertà. L’uomo ha bisogno di respirare, di allargare i propri orizzonti, di correre incontro all’ altro, sostenerlo, aiutarlo, amarlo; ha bisogno di essere illogico, giocare, fare comunella, fare birichinate, di ritornare bambino, per potere veramente essere uomo.

Ma, non vi dice niente? Muore un Papa vecchio e malandato e decine di migliaia di persone corrono verso la Basilica di San Pietro, affrontando disagi e rischi. Viene eletto il nuovo Papa, un cardinale americano, sconosciuto, e si ripete la stessa scena. “Habemus papam” e il mondo scoppia di gioia. “Gol!” e ritorna, camuffata, la stessa gioia. Ma perché? Perché? È questa la domanda che, spero, non vada smarrita nei giorni che verranno. Lo abbiamo capito, l’uomo non basta a se stesso. Non è vero che è solo ciò che mangia. La ricchezza e il potere possono gonfiare il portafoglio e l’ego ma non il cuore, sempre bisognoso di amare e di essere amato. Le orribili guerre in atto stanno facendo vergognare finanche le stelle e il sole. Imparassero i potenti della terra la lezione che viene loro dai tifosi napoletani. Credo che lo sport sia un ottimo alleato della religione, della pace, dell’ umanità. Permette agli uomini – vecchi, bambini, adulti, ricchi, poveri, poveracci, disoccupati, industriali, credenti, non credenti – di essere se stessi senza il timore di essere fraintesi, giudicati, derisi. Napoli, in questi giorni, sta dicendo al mondo che solo scoprendoci fratelli, figli di un solo Dio, saremo promossi a uomini.

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