martedì 15 febbraio 2011
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Caro direttore,ci sono stata anche io domenica in piaz­za con tantissime altre donne, molte cat­toliche, per ragioni che sento vicine alle sue. Non parlerei di women pride(perché in realtà stiamo parlando di un escorti­smo – come lei l’ha definito – che offende le donne), ma di uno scatto di dignità sì. Ci angoscia un futuro in cui giovinezza e bellezza sono manipolate e involgarite e questo opprimente materialismo che as­socia il corpo solo al denaro in tutte le sue forme: vendita, esibizione, scambio.Sentiamo il bisogno di dire alle singole ragazze che la loro 'libera scelta' è den­tro una manipolazione le cui leve sono tenute da altri, dentro un potere che non hanno, in un quadro di disuguali oppor­tunità e diritti negati, all’interno di una gestione dell’immaginario che le ha con­dizionate per anni. Il loro 'cercare di far­cela' attraverso scorciatoie avvilenti an­che se luccicanti non è altro che l’illusio­ne di scegliere dentro un sistema blocca­to che le sfrutta e le cui regole sono det­tate da altri. In questo senso non sono 'vittime' ma certamente non pienamen­te 'libere'. Si dirà che ciò avviene per tut­to il mondo-mercato. Tanto più è impor­tante 'dire no', anche per gli uomini. E riprenderci dignità. Cordialmente.

Milena Santerini

Caro direttore,il suo editoriale di sabato12 febbraio ("Io ci andrei, per poter dire: ragioni che premono") è, a suo modo, geniale e, opportunamente, equilibrato dall’articolo di Marina Corradi ("Io non ci andrò, e rifletto: domande che pesano"). Eppure non riesco a sottrarmi alla sensazione che possa essere, sottilmente, equivoco. Capisco che si debba sempre «vagliare tutto e trattenere il valore», così come accompagnare la discesa in piazza di tante «donne religiose», e, perfino, distinguersi da certi "neocon" ma io, che non sono religiosa bensì cristiana, non posso trascurare il fatto che il metodo è tanto essenziale quanto il contenuto, anzi, talvolta, ne decide la forma e la sostanza. Queste piazze (e già il fatto stesso della piazza) sono troppo evidentemente al servizio di un progetto che suona in qualche modo strumentale a fini non detti, o detti anche troppo. Io che sono abbastanza vecchia per ricordare le irrisioni anche violente delle posizioni di chi, dagli anni 70, provava a vivere e a proporre un altro orizzonte di significato al proprio essere donna, fatico all’idea di potermi accodare a questo movimento "miracoloso" di ex, post, neo femministe, anche religiose, che sembrano aver scoperto tardivamente e senza nessun cenno autocritico quello che, con fatica e letizia, tanti, cristiani e no, hanno provato a vivere e testimoniare negli ultimi quarant’anni. Scrivo senza sapere quali saranno i toni delle adunate femminili di domenica 13 febbraio.Riesco persino ad augurarmi che vi accada almeno un decimo di ciò che lei auspica. Ma continuo a credere che valga infinitamente di più l’oscuro (perché non illuminato da chi può) lavoro educativo di tanti a qualsiasi scenografica presa di posizione, tra l’altro intitolata ad un "se non ora, quando" che suona un po’ anacronistico...

Franca Negri

Caro direttore,lei in sostanza approva una "piazza in rosa" contro l’involgarimento dei tempi e dei messaggi che ci appestano. Sarebbe in effetti un’ottima ragione per farlo e condivido dunque stile, forma e significato della sua opinione. Grazie e buon lavoro a lei e alla sua redazione: voi stessi (a danno di chi l’ha preceduta) avete fatto le spese di che cosa, ad esempio, significhi questo involgarimento... Cordialmente.

Salvatore Prisco

Caro direttore,ho letto con molto piacere i due editoriali di sabato 12 febbraio: "Domande che pesano" di Marina Corradi e il suo 'Ragioni che premono'. Ringrazio entrambi per i pensieri espressi che ho visto uniti in modo sostanziale e profondo e che condivido pienamente.Le scrivo per comunicarle che, oggi più che mai, desidero essere vostra 'portaparola' nei confronti di coloro che non 'pensano' come noi. Mi piacerebbe poter dialogare sempre con chi è d’accordo con me e crede nella Chiesa voluta da nostro Signore Gesù Cristo, ma ricordo che nel Vangelo è posta un’importante domanda: «Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso…». So che devo quindi uscire dal mio guscio di preferenze, accettare la sfida del confronto, parlare chiaramente, pacatamente e così mi comporto. Da qualche giorno, in modo particolare, con una persona che ama discutere su qualunque argomento e sui valori che noi cristiani definiamo "non negoziabili". Sull’eutanasia siamo lontani come la terra dal cielo. E sento che fa fatica ad ascoltarmi; allora ho pensato di regalarle due libri: "Ma che cosa ho di diverso?" e "Un medico, un malato, un uomo", scritti da un testimone, il professor Mario Melazzini, che ha vissuto sulla sua pelle la tentazione, poi vinta, di farla finita con la vita, giudicata non più degna d’essere vissuta, in seguito all’infausta diagnosi di Sla, la malattia che rende prigionieri del proprio corpo, toglie ogni movimento, ma risparmia cervello, anima e cuore. Ha apprezzato molto il regalo, ha voluto la dedica e io ho scritto: «Perché rifletta…».Lo farà senz’altro, ne riparleremo e chissà… Aspetto e spero che la sua intelligenza sia toccata da quella frase del medico diventata ormai famosa: «L’amore vero non uccide, e non chiede di morire». Saluto lei e tutta la redazione con tanta stima e gratitudine.

Adriana Verardi Savorelli, Ascoli Piceno

Ringrazio gli amici lettori per queste riflessioni e per aver espresso preoccupazioni che sono loro e mie. E registro volentieri che nelle piazze al femminile del 13 febbraio «almeno un decimo» – per dirla con Franca Negri – di ciò che auspicavo nel mio editoriale di sabato scorso è stato detto ed è avvenuto. Grazie a una misura e a una civiltà dei toni molto forte e molto femminile. Grazie alla voce, ai gesti e allo stile di tante persone (anche se non di tutte). Non sorprenderò nessuno se ammetto che mi ha toccato e commosso in modo particolare la vibrante e preziosa testimonianza di suor Eugenia Bonetti. E mi spiego subito per non sembrare banale: anche se ho la fortuna di conoscere da tempo il senso e i frutti del durissimo e splendido lavoro svolto da tante religiose cattoliche contro le vecchie e nuove schiavitù che vengono imposte – con molti e tutti egualmente indegni mezzi – alle donne, mi sono emozionato nel sentirne parlare in modo scomodo e coinvolgente, tra applausi veri, in quella piazza di città ricolma (e nelle altre collegate e poi riverberatesi, insieme, sulle pagine dei giornali). Una piazza che è impossibile liquidare come «radical chic», e chi lo fa semplicemente sbaglia. Perché quella piazza è stata "rosa'"eppure non aveva un colore solo. E meno male. C’erano anche – peraltro annunciatissimi – colori per me (e non solo per me) stridenti. Ma stiamo parlando di piazze di città, dove ci si deve incontrare e misurare, come nel dialogo che procede e non s’arrende che così bene viene qui evocato da Adriana Verardi Savorelli e, nella pagina degli editoriali, conclude la bella riflessione di don Nicolò Anselmi. E se nel ritrovarsi «per indignazione», sventando per una volta il rischio della pura invettiva, prevale finalmente una verità nobile d’intenti, anche a me sta bene. Mi auguro solo che d’ora in avanti ci si ricominci ad ascoltare davvero. Che si provi e si riprovi ad accordarsi (nel senso armonico del verbo) per riconoscere il «bene» fondamentale di cui finalmente riparliamo dopo decenni di svendite parallele, la pari dignità della donna e, dunque, dell’uomo. Chiedo solo che si presti davvero attenzione, e si capisca, anche ciò che noi cattolici diciamo: quale umanesimo potente continuiamo a elaborare dando ragione della nostra fede e della nostra speranza e, in forza di questo, quanta parte della nostra società, nel concreto di ogni giorno, continuiamo a servire. E poiché non parliamo per sentito dire di donne e uomini, vorrei che si tenesse presente – e possibilmente non a giorni e argomenti alterni – che noi cattolici (certo non da soli) non ci limitiamo a predicare sull’insopprimibile valore di ogni persona, ma siamo conseguenti e, per questo, andando controcorrente tutte le volte che è necessario, chiediamo che non si tenti di fare mercato proprio di tutto, anche di ciò che negoziabile non è. Continuo a sperare che sia possibile. Qualcuno dirà che sono discorsi da illuso. Che oggi è tutto e solo politica, politichetta e politicaccia. Che il problema è Berlusconi sì o no. So anch’io quali e quante questioni si profilano. So bene che l’assenza nella piazza 'in rosa' di bandiere di partito è stata accompagnata anche da presenze e da dichiarazioni da parata. E mi rendo conto, ovvio, che giochi a strumentalizzare e a confondere sono stati fatti. Ma so che c’è in ballo un po’ di più di una leadership politica che, come tutte, in democrazia è comunque temporanea. Ecco perché mi colpisce, sebbene non mi sorprenda, che ancora una volta gli accenti, di certa piazza e di certo teatro si siano toccati, e che l’ansia «anti-moralista» abbia fatto alzare e arrochito, su opposti fronti, più di una voce. Di fronte a ciò, cari amici, dico solo che noi siamo e restiamo tra coloro che sanno che una morale fondata su pilastri essenziali c’è, ed è antica come il cuore dell’uomo, più antica cioè di ogni umiliante mestiere. Non abbiamo mai avuto paura di passare per "moralisti" e per "schierati" nell’affermarlo, e non diventeremo timidi proprio adesso.
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