Dare al futuro due sponde
mercoledì 25 gennaio 2023

Ma quanto Mediterraneo in questi giorni nella politica italiana… Incontri ufficiali dei nostri ministri degli Esteri e dell’Interno a Tunisi, in Turchia, in Egitto e soprattutto la recentissima visita di Stato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Algeria. Un Paese ritornato prepotentemente centrale per la nostra strategia energetica con la guerra in Ucraina. Non a caso, è riecheggiata continuamente la visione di Enrico Mattei, il padre del gasdotto che ci lega ad Algeri e che potrebbe fare dell’Italia – come è stato auspicato – un nuovo hub per il mercato del gas europeo, in vista dal distacco totale dalla Russia.

Un’attenzione verso questo bacino che può sorprendere, se si ripensa alla retorica sovranista che i principali partiti oggi al governo hanno usato e alimentato verso la Sponda Sud del Mediterraneo, dipinta troppo spesso solo come fonte di problemi e non come anche di opportunità. Se è consentito scomodare Hegel, è noto come i fatti siano la dura replica della storia alle idee. E oggi appare assolutamente manifesto come per l’Italia sia di prioritario interesse interagire con i Paesi della sponda sud di questo mare. È tuttavia fondamentale non farlo solo in modo reattivo, esclusivamente al fine di governare dinamiche immediate, per la necessità di ottenere forniture di gas naturale o per gestire meglio i flussi di profughi e migranti che lo interessano; un tema quest’ultimo oltremodo complesso e sistemico, che certo non si risolve con la demonizzazione delle Ong, come dimostrano gli arrivi di questi mesi.

L’attuale governo legittimamente fissa le sue priorità e stabilisce la sua linea di difesa dell’«interesse nazionale»; ma si può notare che su diversi dossier, di fatto, si sta muovendo in linea con le scelte dei governi precedenti. Una maggiore attenzione al Mediterraneo e alle aree ad esso collegate (quella subsahariana in particolare) significa avere la capacità di immaginare una nuova architettura delle relazioni fra Europa e Africa, che vada oltre alle esperienze deludenti delle politiche euromediterranee sinora realizzate dall’Unione Europea. E soprattutto capire che la guerra in Ucraina sta facendo sorgere un nuovo ordine europeo, che rischia di essere ancor meno favorevole all’Italia rispetto agli ultimi decenni. Quali che siano il risultato e la durata di quel conflitto, è inevitabile che vi sia uno slittamento del baricentro strategico verso Est: il riarmo tedesco, la crescita militare e politica della Polonia, l’influenza dei Paesi baltici, il ruolo dell’Ucraina come potenza militare armata dall’Occidente, sono tutte trasformazioni geopolitiche che impatteranno sulla visione che Unione Europea e Nato hanno del nostro sistema macroregionale.

È quindi essenziale che i Paesi mediterranei tengano “agganciata” l’Europa al Mediterraneo. Ma per riuscire a innescare questa dinamica è necessario un cambio di percezione: bisogna smettere di trattare i problemi (e le potenzialità) del nostro essere al centro di questo mare come un tema strumentale o di polemica fra i partiti. Avere una visione euromediterranea impone uno sforzo per passare dalle “onde corte” di breve periodo della politica quotidiana, a quelle lunghe di una vera visione strategica.

Significa difendere il proprio interesse nazionale non contro quello di altri, in particolare rispetto alla Francia, con cui abbiamo da anni incomprensioni e rivalità che hanno danneggiato entrambi. Bensì impone alla politica di elaborare una architettura regionale sistemica che vada oltre il gioco a somma zero (se tu vinci, io perdo; e viceversa), ma che sia in qualche modo inclusiva e condivisa. Tanto fra i Paesi rivali lungo la Sponda Nord e quanto con quelli della Sponda Sud. Qualcosa che le politiche dell’Unione, come ad esempio il “Partenariato Euromediterraneo” o la fallimentare “Unione per il Mediterraneo” non hanno mai saputo fare.

Un modo nuovo di guardare a una r egione che si sta trasfor-mando sia per le sue dinamiche interne (da quelle politico-economiche a quelle sociodemografiche), sia per le trasformazioni del sistema internazionale nel suo complesso. Quali, ad esempio, la crescente stabile presenza della Cina e della stessa Russia o l’attivismo unilaterale delle medie potenze regionali, come Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti. Mattei, dopo la seconda guerra mondiale, aveva saputo proporre visioni e formule di relazioni del tutto innovative per il mondo arabo e per l’Africa, come è stato ricordato da Meloni ad Algeri. Senza velleitarismi e guardando al lungo periodo, è importante che l’Italia avvii e sostenga nuovamente questa riflessione e sviluppi questa azione.

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