sabato 12 febbraio 2011
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Ebbene sì, se io fossi una donna domenica sarei in piazza. Non per politichetta, ma per amore. E per ribellione del cuore e della mente, da credente e da persona libera. Ci sarei per dignità e senso morale. Certo non andrei per lamentare – come più di qualcuna tra le promotrici – che “è mancato il passaggio del testimone” tra le giovani e giovanissime di oggi e le femministe d’antàn. Ci sarei per dire che non m’interessa un passaggio del testimone, ma ascoltare testimonianze di verità su ciò che è accaduto nel mondo – vogliamo dire nei mondi? – delle donne italiane negli ultimi quarant’anni. Ci sarei con la speranza di ascoltare voci chiare e consapevoli e accenti nuovi e autocritici su una battaglia per la parità uomo-donna che ha dato frutti importanti e dolci, ma anche agri, e che soprattutto – per vederlo basta avere gli occhi – ha paradossalmente prodotto e radicato nella testa di tanta gente d’Italia anche una vasta, sventata e triste “pari opportunità” dell’involgarimento, della libertà declinata sino allo sciupìo di sé. Il peggio dei sogni al maschile trasformato in realtà.Potrei chiamarla una gratuita perdita di senso e una logica dei sensi a pagamento, anche se temo di sembrare un disco incantato. L’abbiamo scritto così tante volte su queste pagine che ne ho perso il conto. Però c’è tanta di quella verità in questa iperbole amara, in questo lancinante interrogativo morale che insegue e sconfigge pensieri deboli e orgogliose professioni di relativismo, che vale la pena di rifarlo. E allora lascio le parole in pagina, perché – se fossi una donna – domenica sarei in piazza, in quella piazza, per ribellarmi non solo e non tanto al reato ancora da provare in giudizio di un uomo potente e, come lui stesso dice di sé, «qualche volta peccatore», ma alla réclame dell’escortismo che è certa ed è provata e che sta appestando i giornali e ci appesta la vita. Ci sarei per protestare contro la cartellonistica cialtrona che infesta le vie delle nostre città e contro la televisione sconciata e scosciata del velinismo e dei reality guardoni.Ora che nel reality purtroppo ci siamo tutti, ora che (tra “nominati” e salvati, tra giudici e votanti) la partita è tutt’altro che virtuale, se fossi donna, andrei in piazza fra altre donne per chiedermi – e chiedere ad alta voce – che cosa abbiamo insegnato a quelle tante nostre figlie pronte a considerare la vendita di sé un investimento come un altro – perché un errore terribile c’è stato se siamo arrivati sino a qui, e non è solo di queste ragazze belle e confuse, determinate e senza bussola, figlie di madri liberate o fatte sole, di padri assenti o espulsi, di famiglie provvisorie e risolte, come un problema d’aritmetica o un lampeggiante desiderio. Ma questo, qui accanto, se lo chiede già Marina Corradi. E, come sempre, Marina lo fa trovando accenti coinvolgenti e giusti. Quindi mi fermo qui. Con le mie domande d’uomo e come di donna. Perché la parità che ho imparato è stare assieme e accanto, con uguale altezza e diverso ruolo. Trovando e ritrovando, come in famiglia, il coraggio di guardare e dire il problema vero. E oggi, davanti a un’annunciata piazza al femminile che spero s’arrovelli e non s’arroventi, non ho ragione o torto da dare, ma torti su cui fermarmi e ragioni da indicare.
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