martedì 24 settembre 2013
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Settant’anni fa moriva Salvo D’Acquisto, giovane vicebrigadiere dei carabinieri, ucciso dai nazisti in una rappresaglia a Palidoro, una piccola località vicino Roma. Dopo la resa dell’Italia, l’8 settembre 1943, la Penisola era stata invasa dai tedeschi e si vivevano settimane di grande sbandamento. Le istituzioni dello Stato erano venute meno e la popolazione dell’Italia centro-settentrionale era in balìa degli occupanti. Salvo D’Acquisto non era una vittima designata: non aveva operato contro i nazisti – motivo per cui molti furono uccisi – ma nonostante le grandi difficoltà del momento era rimasto al suo posto a dirigere la locale stazione dei carabinieri. Il vortice di violenza di quei giorni non risparmiò Palidoro. A seguito della morte di due SS in un’esplosione probabilmente accidentale, i tedeschi decisero di fucilare ventidue abitanti del luogo come rappresaglia. Tra questi Salvo D’Acquisto, che i nazisti consideravano responsabile: al giovane vice brigadiere era stato ordinato di individuare gli artefici del presunto attentato, ma non avendo indicato nessun colpevole, era stato insultato e malmenato dai nazisti. Tutti gli uomini radunati nella piazza si dichiararono innocenti. A quel punto i tedeschi li condussero in campagna e li costrinsero a scavare una fossa nel luogo in cui intendevano fucilarli. Il capitano delle SS chiese un’ultima volta che i responsabili confessassero l’attentato, altrimenti sarebbero stati tutti uccisi. Salvo D’Acquisto, secondo la testimonianza di uno dei presenti, si avvicinò all’ufficiale tedesco e parlò brevemente con luì a mezzo d’interprete. Subito dopo i ventidue fermati furono rilasciati e solo il carabiniere venne fucilato. Nessuno ebbe modo di ascoltare ciò che disse al militare tedesco, ma tutti i sopravvissuti capirono che si era autoaccusato per salvare le loro vite. La vicenda di D’Acquisto è quella di un uomo comune, che muore però in modo non comune, offrendo la sua vita per salvare altre persone. Nella sua storia emerge la forza dell’uomo di fede, che in un momento drammatico e di disorientamento, trova il coraggio di assumere su di sé la responsabilità di altri. Un gesto che manifesta come uomini apparentemente deboli e piccoli abbiano permesso all’Italia, in quel tragico momento storico, di far sopravvivere un tessuto umano e di solidarietà. Molti altri, come Salvo D’Acquisto, alcuni noti e i più sconosciuti, hanno resistito al male con la forza debole del bene. Un recente libro di Anna Bravo, La conta dei salvati, fa luce su tante storie di sangue evitato da parte di uomini e donne comuni. Spesso sono storie avvenute in tempo di guerra: uomini e donne che non si sono piegati alla tentazione, comprensibile di fronte a quell’immane tragedia, di pensare solo a se stessi, esprimendo un eroismo semplice e non gridato. L’anniversario di Salvo D’Acquisto porta a riflettere su questi "salvatori", che hanno anteposto la giustizia e la vita altrui a ogni considerazione, persino alla propria vita. Si tratta di pagine preziose di storia, che meritano di "parlare" di più. E non sono soltanto vicende legate alle guerre. Ma anche storie del quotidiano. Ai giorni nostri non mancano uomini e donne comuni capaci di gesti eroici. Due esempi: l’avvocato Giuseppe Paladino, morto annegato l’estate scorsa a Palinuro dopo aver portato in salvo alcuni ragazzi in difficoltà nel mare agitato. O quello del giovane ivoriano Augustin Affi, anch’egli affogato dopo aver tratto in salvo due bambini di 8 e 11 anni sulla spiaggia di Lido di Classe, vicino Ravenna, nel 2011. Un italiano e un immigrato uniti nella stessa sorte. Capaci di generosità vera, sino al sacrificio della propria vita. Non sono così pochi gli eroi comuni come loro. Ricordare Salvo D’Acquisto è anche fare memoria dei tanti "salvatori" noti e meno noti che, attraverso le loro scelte, hanno mostrato che l’amore per l’altro è una realtà che non conosce frontiere.
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