giovedì 31 marzo 2011
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Chissà che cosa pensano di monsieur Sarkozy Bernard Henry Levy e André Glucksman ora che i flic stanno respingendo senza titubanza alcuna i migranti che cercano di varcare il redivivo valico di confine di Ventimiglia. Ma soprattutto chissà come saranno in grado di spiegarci che i nobili ideali repubblicani di liberté, egalité e fraternité possono ben essere invocati per dare avvio a un’azione di guerra, ma non contano più nulla quando si tratta di condividere il pesante fardello della solidarietà. Per carità, Sarkò, per lo meno da quando è presidente della Repubblica, non si esprime come il nostro ministro delle Riforme – immigrati? Fora di ball! – anche se quando era il ministro degli Interni di Chirac definì racaille (feccia) i rivoltosi delle banlieue, tirandosi dietro molti voti, ma anche parecchio scandalo. Aveva ragione a bollare come violente e illegali le azioni compiute dai casseurs, il ministro Sarkozy, ma nell’usare quell’epiteto spregiativo ricordava certi politici nostrani, com’è successo ancora un paio di giorni fa, quando ha affermato con piglio deciso: «Nessun migrante passerà il confine francese!». D’altronde i sondaggi negativi innervosiscono i politici al di qua come al di là delle Alpi, e aver visto la figlia di Jean-MarieLe Pen volare nelle preferenze dei francesi deve averlo preoccupato non poco: «Non sarà mica che farò la fine di Chirac? – si sarà domandato – costretto all’umiliazione di un ballottaggio per le presidenziali proprio con il padre di Martina Le Pen». Chiariamo subito un punto: non stiamo discutendo la dolorosa necessità di combattere il fuoco con il fuoco, né ironizzando sul fatto che la cultura politica francese sia (spesso) meno cinica di quella italiana. Neppure vogliamo ridurre a pura questione di interesse la molla che ha indotto la Francia a intervenire a sostegno dei ribelli di Bengasi prima che la loro principale piazzaforte cadesse sotto il fuoco dei caccia e dei carri di Gheddafi. Se i cacciabombardieri francesi non avessero iniziato a martellare le posizioni dei mercenari del colonnello all’alba di sabato 19 marzo, la comunità internazionale avrebbe rimediato un fallimento di proporzioni gigantesche. Però un po’ di coerenza non spiacerebbe vederla osservare dai nostri cartesiani cugini. O per lo meno un po’ di imbarazzo, suvvia. Anche perché o il Mediterraneo, con tutte le sue implicazioni, è sempre uno spazio politico unico, in cui i problemi possono essere affrontati solo mettendoli in comune, oppure non lo è mai. Se tanti Paesi europei hanno scelto di aderire all’iniziativa che la Francia più di ogni altro ha voluto – un’iniziativa che, non dimentichiamolo, aveva avuto l’avallo pesantissimo della Lega Araba e poi dell’Onu – è proprio perché hanno ritenuto che fosse giunta l’ora di dimostrare nei fatti che questo mare ci bagna tutti e tutti potrebbe un giorno sommergerci. Sarebbe una singolare manifestazione di solidarietà e condivisione quella che limitasse il suo campo d’azione ai raid e alle incursioni, lasciando poi a ognuno (cioè a tutti gli altri) il compito di provare a dare qualche risposta a un’umanità che si sposta per cercare speranze di vita migliori. Questi respingimenti alla frontiera delle Alpi non sono per nulla diversi dai tanto criticati 'respingimenti' praticati dalle autorità italiane fin tanto che Gheddafi era il padrone della Libia. Sono solo un po’ più ipocriti o, per dirla con Molière, più 'tartufeschi', perché è molto più comodo scaricare su un altro Paese europeo questo triste fardello, ma la sostanza non cambia di molto. Peccato che così si finisca per dare ragione a quei giornali che all’avvio dei raid aerei gridavano in prima pagina, rivolti ai francesi, «a loro il petrolio, a noi i clandestini». E invece noi crediamo davvero che il prestigio della sua storia e l’universalità dei suoi valori repubblicani meriterebbero un miglior ossequio. Peccato, perché in caso contrario si mette sempre più a rischio l’idea stessa di Europa, che mentre non riesce ad assumere una posizione politica comune in materia di sicurezza quando più è necessario, neppure è capace di dimostrare concretamente che l’idea di 'casa comune' è qualcosa di più di uno slogan. Ci sarebbe piaciuto pensare alla Francia come alla terra di Cyranò, il moschettiere guascone, acuto ed audace, letale tanto con la spada quanto con la favella, sempre pronto a battersi con generosità per far trionfare ciò in cui credeva, e invece ci tocca la Francia di Monsieur Tartuffe. Abbiamo creduto che, comunque, Sarkozy volesse incarnare l’ideale gaullista della 'France éternelle', e invece si trattava soltanto della solita Francia.
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