Curare o no gli anziani. È solo questione di soldi?
domenica 24 maggio 2020

Molto opportuno l’appello rivolto ai lettori, perché lo firmino, da parte di alcuni uomini di cultura e di politica, e pubblicato dal 'Corriere delle Sera' e, proprio oggi, da 'Avvenire'. Chiede che tutte le vite umane, nei centri di ricovero e di terapia, siano trattate allo stesso modo, con la stessa premura, con le stesse cure, e che la cura degli anziani non sia posposta o trascurata rispetto alla cura dei giovani. È un lamento e una protesta, ed è bene che grandi personalità della vita pubblica lo lancino e lo rilancino: loro possono 'vedere' il problema e indicarlo.

Adesso speriamo che lo vedano anche coloro che lavorano nel campo della politica e delle leggi, perché loro possono 'fare' qualcosa, risolvere il problema. L’appello ha come primo firmatario Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. È lo stesso problema che – su questo giornale, che è stato tra i primi a indicarlo e sottolinearlo come ferita aperta in Italia e nel mondo – anche chi scrive mise al centro di un commento pubblicato il 3 aprile: il rifiuto delle cure agli anziani malati di coronavirus e bisognosi di terapia intensiva, quindi di un letto nei reparti riservati e di una macchina respiratoria. Avevamo sott’occhio il racconto di un figlio ammalatosi di quella malattia insieme col padre, e prelevato e portato in ospedale insieme con lui, ma all’ospedale lui ricoverato in un reparto e il padre in un altro, e dopo due giorni lui riceve la visita di un dottore che gli dice: «Condoglianze, suo padre non ce l’ha fatta». A quel punto lui capisce che quando avevano destinato lui a un reparto e suo padre a un altro avevano deciso che lui doveva vivere e suo padre no.

Perché lui nel suo reparto avrebbe trovato giuste terapie e la macchina che lo salvava, suo padre avrebbe trovato poco e niente. È dunque una questione di umanità? Di valutazione della vita? I medici valutano molto la vita giovane e poco la vita anziana? È una questione di cultura, di civiltà, di moralità? Non esattamente. È una questione economica. Quando uscì il nostro articolo su questo giornale, alcuni lettori ci scrissero che sbagliavamo, perché la questione di salvare uno (giovane) con la terapia intensiva e lasciar perdere un altro (vecchio), è la stessa questione che si presenta nei trapianti: tu hai un cuore intatto da impiantare, su chi lo impianti, sul giovane che vivrà altri sessant’anni o sul vecchio che comunque fra dieci anni sarà morto? Sul giovane, naturalmente. Si fa sempre così e nessuno ha mai detto niente.

Salvando il giovane salvi molto, salvando il vecchio salvi poco. Pare un ragionamento potente, e invece è sbagliato. Il cuore da trapiantare te lo dà la Natura, te ne dà uno e ti rassegni, non puoi averne di più. Se arriva un altro paziente non puoi impiantargli un cuore che non hai. È una questione naturale. Ma nella terapia intensiva non va così: lì usi anche le macchine, e se non ne hai è perché non le compri, vuoi risparmiare, è una questione economica. Non è una questione di scienza, e nemmeno di morale. Non la devono affrontare i grandissimi medici o i grandissimi filosofi. Basta un impiegato qualsiasi, a volte perfino un autista: abbiamo letto (e vorremmo che non fosse vero) che in qualche caso, quando arrivava una chiamata all’ambulanza, per ricoverare un malato con tutti i sintomi del Covid, l’autista chiedeva l’età del paziente, e se l’età era avanzata decideva di non partire nemmeno. La svalutazione della vita dei vecchi purtroppo non è un problema etico, filosofico, morale, civile. Non dobbiamo reimpostare la civiltà. È un problema economico. Dobbiamo rifare i conti.

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