Impareremo a conoscerlo sempre meglio, papa Leone XIV, man mano che passeranno i mesi e gli anni. Ma la giornata odierna ci dirà di lui cose sicuramente importanti. La Messa di inizio pontificato, infatti, non è solo un punto di partenza ufficiale, ma anche e soprattutto il momento in cui il nuovo Pontefice rivela al mondo la principale cifra interpretativa della sua azione di successore di Pietro.
Così fu nel 1978 per san Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo». Così anche per Benedetto XVI nel 2005, il cui unico programma di governo, come ricordò in quella occasione, era di mettersi in ascolto della voce del Signore. E così avvenne anche per Francesco nel 2013 che incentrò la sua omelia sul tema del «prendersi cura», avendo come modello l’amato san Giuseppe, il «custode» per antonomasia. Sappiamo quanto e come le parole delle Messe di inizio siano rifluite nel magistero degli ultimi tre Papi, dando forma e sostanza ai loro pontificati. E ascolteremo con attenzione quelle che ci dirà oggi papa Prevost.
Ma nei dieci giorni che già ci separano dalla sua elezione e dal “biglietto da visita” presentato al momento del suo affaccio dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietr- « La pace sia con voi» -, il primo Papa statunitense della storia ci ha già mostrato parecchio di sé, del suo stile, delle sue priorità pastorali. A cominciare dalla capacità di essere consapevolmente e pienamente se stesso, dribblando mirabilmente l’incasellamento nei vecchi schemi – progressista/conservatore – che hanno animato il dibattito mediatico nei giorni del pre-Conclave. Leone XIV non è né l’uno né l’altro. Assomiglia anzi al padrone di Casa, di cui parla Gesù al capitolo 13 del Vangelo di Matteo, che estrae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove. Lo ha fatto fin dalla scelta del nome. Antico, appunto. Ma con la capacità – testimoniata ad esempio da Leone XIII – di guardare alle res novae, che lo stesso papa Prevost ha subito mutuato da quel suo predecessore.
E infatti ha spiegato di averlo scelto, quel nome, pensando alla nuova questione sociale di oggi, la rivoluzione industriale connessa all’avvento dell’intelligenza artificiale, con le sue opportunità, ma anche con i suoi riflessi rischiosi sui lavoratori e sulla loro dignità. Cose antiche e cose nuove. È più che probabile che Leone XIV continui ad estrarle dal suo bagaglio personale e spirituale, perché quel bagaglio è composito nel suo stesso Dna, stratificato nella provenienza genealogica, poliedrico (aggettivo caro a papa Francesco) nella formazione culturale, variegato nell’esperienza di religioso agostiniano prima e poi di missionario, di vescovo e di cardinale. In lui abbiamo visto coesistere, in questi primi giorni di pontificato, le insegne tipiche del Papa (la mozzetta e la stola con cui si è presentato all’affaccio) e la croce pettorale dorata con le reliquie di Agostino, di sua madre Monica e di altri santi dell’ordine, con l’apertura ai problemi della contemporaneità. Come quando ha indicato, fin dalla prima Messa nella Cappella Sistina, fra le urgenze dell’annuncio oggi, l’evangelizzazione dei contesti in cui la fede cristiana «è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti » e in cui «chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito». Sono i contesti della secolarizzazione specialmente occidentale, che il nuovo Papa conosce bene, lui figlio di una famiglia religiosissima della media borghesia di Chicago, dove però la chiesetta in cui il piccolo Robert Francis mosse i primi passi da cristiano è oggi in rovina. Papa Prevost, dunque, conosce la missione a 360 gradi. Ed è proprio su questo terreno “nuovo” – che è poi anche quello “antico” della nuova Evangelizzazione cara a san Giovanni Paolo II e della questione delle fede posta a suo tempo con forza da Benedetto XIV – che può saldarsi sia la continuità con l’attenzione preferenziale per gli ultimi di papa Francesco, sia lo sguardo ampio che i tempi nuovi richiedono.
Perché, ci ha detto in sostanza il Pontefice, la povertà spirituale di tanta scristianizzazione presente nelle nostre società può diventare anche l’innesco più potente e sottovalutato delle povertà materiali che vediamo intorno a noi. Leone XIV ci appare dunque pienamente inserito nella storia della Chiesa, radicato nella riaffermazione del primato di Cristo, ma con l’occhio rivolto al futuro. E forse l’icona più pregnante di questi primi giorni è la frase di sant’Agostino messa a corollario del discorso agli operatori dei mass media: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». Antica la citazione. Nuova, nuovissima la direzione di marcia che indica ai potenti del mondo, come a ognuno di noi. Se vogliamo la pace disarmata e disarmante, suggerisce il Papa, occorre disarmare prima di tutto il cuore. Quindi le parole, gli eserciti e tutto il resto.