mercoledì 10 aprile 2019
Il caso di «This is us» rivela che è possibile mostrare una narrazione costruttiva delle relazioni tra genitori e figli. Una strada da seguire
il cast della serie televisiva "This is us", visibile su Amazon Prime e Fox Life

il cast della serie televisiva "This is us", visibile su Amazon Prime e Fox Life

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C’è una serie televisiva che ha coinvolto e commosso gli Stati Uniti e che da qualche tempo sta mettendo insieme molti appassionati anche da noi. C’è chi la segue su Fox Life, chi su Sky Go e chi sulla piattaforma on demand di Amazon. S’intitola This is us (letteralmente 'Questi siamo noi'), è ideata da Dan Fogelman e racconta le vicende della famiglia Pearson tra figli naturali e adottati, bianchi e neri, sviluppandola su più livelli temporali. Si va dagli anni Ottanta, da dove la storia prende avvio, ai giorni nostri. I protagonisti sono una coppia di genitori e i loro tre figli. Storie diverse, con alcuni punti in comune, destinate tutte a intrecciarsi, mentre la continua altalena tra presente e passato, oltre a permettere qualche colpo di scena, favorisce l’analisi psicologica dei personaggi mettendo in evidenza i rapporti interpersonali, soprattutto tra figli e genitori, ma anche le insoddisfazioni per i sogni non realizzati o la ricerca di un cambiamento.

Lo sfasamento temporale permette anche di aggiungere ogni volta dei tasselli che chiariscono le ragioni delle nuove dinamiche e dei nuovi equilibri che si sono venuti a creare nel corso degli anni. In altre parole, i momenti cruciali, le svolte e le scelte che hanno dato una direzione alla vita dei protagonisti in un verso anziché in un altro. Se poi sia stato giusto o sbagliato lo si valuta sulla lunga distanza pronti a rimediare.

This is us è una serie realizzata con buona tecnica e intreccio coinvolgente, che ha il pregio di raccontare l’essere umano nel contesto della famiglia attraverso il matrimonio, il rapporto tra padri e figli o tra fratelli, la malattia e persino la morte. Lo fa senza sconti, raccontando la complessità della vita, con molto realismo, ma anche con molta umanità. Da una parte si può accusare un genitore di avere spezzato il sogno di un figlio. Dall’altra il figlio ammette che deve al genitore la propria forza. Nel frattempo tutti imparano a condividere gioie, perdono, coraggio e speranza, felicità e amore, guidati come nella vita reale da emozioni e sentimenti.

È vero che la tv tende a semplificare, a ridurre al minimo comune denominatore i problemi, pur ingigantendoli o riducendoli a seconda delle necessità. È vero anche che non c’è in questa serie come in altre un riferimento esplicito alla trascendenza o a una morale più stringente e non mancano nemmeno elementi discutibili, ma almeno c’è la ricerca delle proprie radici, la fedeltà, l’apertura alla vita, la condivisione. Valori che se anche presentati in modo laico possono creare un humus positivo per una riflessione che può andare ben oltre la contingenza di una serie tv. Non va sottovalutato nemmeno lo spaccato sulla società americana che in qualche modo scorre sullo sfondo accennando a temi importanti come l’integrazione, i diritti civili, le ripercussioni interne delle guerre combattute fuori dai propri confini, le questioni etiche, quelle morali e quelle politiche.

Pur con tutti i limiti di una fiction televisiva, va dato atto a This is us di essere una delle non molte serie che affrontano senza particolari distorsioni il tema della famiglia. E non è un caso che negli Stati Uniti vada in onda sulla Nbc che già aveva trasmesso Parenthood dalla quale è stata esplicitamente tratta la nostra Tutto può succedere, altro caso di family drama innovativo, con una buona scrittura e un buon ritmo, che racconta le vicende di quattro fratelli (due maschi e due femmine), con i loro coniugi (in due casi), i loro figli (in tutti e quattro i casi) e i loro genitori, puntando sulla solidarietà familiare e il tentativo di dialogo tra le generazioni, ma anche sull’accettazione della gravidanza e della maternità.

Anche in Tutto può succedere come in This is us è già tanto che si parta da famiglie con tre o più figli di fronte a una realtà come quella italiana in cui la media è di uno o poco più. Per cui se è vero che in molti casi la televisione a livello di fiction mette in ombra o addirittura in cattiva luce la famiglia cosiddetta (ingiustamente) tradizionale a beneficio di ben altre aggregazioni, è altrettanto vero che non mancano le eccezioni, senza andare a scomodare La famiglia Bradford della serie cult della fine degli anni Settanta e inizio Ottanta. È sufficiente aggiungere, ancora come esempio, I Durrell - La mia famiglia e altri animali, al momento in onda su LaEffe. Una storia che inizia nel 1935, quando Louisa Durrell improvvisamente si trasferisce insieme ai suoi quattro figli da Bournemouth, in Inghilterra, a Corfù, in Grecia. Suo marito, Lawrence, è morto da alcuni anni e la famiglia sta attraversando un periodo difficile dal punto di vista economico. Nell’isola greca, dove l’elettricità è ancora un lusso, ma la vita è molto meno costosa, i cinque trovano una nuova dimensione, mentre il piccolo di famiglia, Gerry, scopre l’amore per gli animali, che osserva nelle sue spedizioni e spesso decide di portare a casa con rocambolesche conseguenze. L’interessante della serie è l’analisi dei personaggi umani studiati quasi al pari degli animali (in senso positivo, ovviamente). A volte gli autori lo fanno con molta ironia, inventandosi anche qualche piccola perfidia da affidare alle parole e all’azione dei propri protagonisti. Non sono soltanto memorie, né soltanto osservazioni naturalistiche, bensì la storia di un paradiso terrestre e di un ragazzo che vi scorrazza instancabile, curioso di scoprire la vita, passando anche attraverso avventure, tensioni e turbamenti, ma sempre in un clima di sostanziale serenità. Una serie che descrive con l’occhio del bambino e al tempo stesso dello scienziato una famiglia disordinata e rissosa, ma felice, pronta a tutto pur di rimanere unita.

Ci sono anche le cosiddette sitcom che affrontano spesso il tema della famiglia con storie di padri, madri e figli a confronto, la maggior parte delle quali arriva dagli Stati Uniti. Tra le migliori, sempre per fare degli esempi, c’è senz’altro Speechless, che con ironica leggerezza e senza pietismi tratta anche il tema della disabilità. La serie segue le vicende della famiglia DiMeo: padre, madre e tre figli di cui il maggiore affetto da paralisi cerebrale infantile.

Accettabile anche The Middle, che narra di una famiglia composita, nel carattere e non solo. Si potrebbe definire una famiglia ad altezza variabile: il padre altissimo, la madre piccoletta, un figlio quasi nano e gli altri due nella media. Anche il fisico, al pari dell’arredamento e dei colori della casa, ha un senso nel caotico gruppo familiare le cui vicende sono narrate dal punto di vista della mamma. Quella di The Middle è una comicità surreale non proprio nelle nostre corde, e il doppiaggio non aiuta, ma lo stile è sostanzialmente garbato, la famiglia gioca pur sempre un ruolo positivo e qualche sorriso, se non proprio una risata, ci scappa.

Insomma, la famiglia sarà anche in crisi, ma per la tv resta una grande fonte di ispirazione: ci pesca a piene mani e a volte con buoni risultati.

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