domenica 17 gennaio 2016
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Omaggio a chi s’è battuto sul fronte più terribile del morbo Nemmeno il tempo di festeggiare la fine dell’emergenza-ebola in Africa occidentale che in Sierra Leone il temibile virus è ricomparso, uccidendo una donna. L’Oms, del resto, aveva invitato a non cantare vittoria troppo presto: i tre Paesi più colpiti (Guinea, Sierra Leone e Liberia) erano – e sono – «ad alto rischio di ulteriori piccoli focolai».  Ma se, all’indomani della conclusione di quella che è passata alla storia come la peggior epidemia di ebola di sempre (28.637 casi e 11.315 morti), torniamo a occuparci di questa dolorosa vicenda è anche per fare memoria dei tanti che, da dicembre 2013 a oggi, si sono spesi per salvare vite umane, non di rado mettendo in gioco la propria: infermieri, medici, ricercatori, ma anche missionari e missionarie che hanno scelto di rimanere accanto ai 'loro' malati. Sapendo di esporsi a un rischio letale. Particolarmente colpiti, in questi ultimi mesi, i Frati ospedalieri di San Giovanni di Dio (noti come Fatebenefratelli). «Quando si è diffuso ebola, tutti gli ospedali liberiani hanno chiuso perché il personale aveva paura di contrarre la malattia; noi abbiamo continuato ad accogliere chi lamentava febbre e diarrea, possibili sintomi del virus». Così raccontava tempo fa un frate, rientrato dalla Liberia per accompagnare la salma di un confratello, Georges Combey, 47 anni, stroncato dal virus. Con lui l’ordine ha pianto anche Patrick Nshandze, Miguel Pajares e Manuel Garcia Viejo. Un’altra storia eroica ha visto protagoniste le Missionarie dell’Immacolata Concezione di Monrovia. Tutte e quattro sono state contagiate. Nell’agosto 2014 Ebola si portò via suor Chantal Pascaline, congolese, di 48 anni. Oltre a lei sono morte le suore infermiere Laurene Togba; Leyson Wilson e l’assistente sociale Tetee Dogba. Una vicenda, questa, che riporta alla memoria il gesto più antico e altrettanto coraggioso delle sei suore Poverelle di Bergamo che nel 1995 rimasero al loro posto, a Kikwit (Repubblica democratica del Congo) e finirono uccise dal morbo. Forse un giorno le onoreremo beate (il processo canonico è stato avviato oltre un anno fa). Ma già da oggi, a loro come a tutti quelli che hanno messo in gioco la vita per salvare altre vite, va il nostro ricordo. Carico di gratitudine.
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