mercoledì 27 luglio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
E la chiamano estate, quelli che il calcio... Il procuratore federale Stefano Palazzi ha deciso il deferimento dei protagonisti dell’ultimo scandalo del Calcioscommesse, ora si aspettano le sentenze. Qualunque sia il verdetto finale, chi ha ancora a cuore le sorti del nostro calcio sa che la ferita rimarrà aperta. Perché ci vuole un cuore gonfio d’orgoglio da tifoso per non accorgersi che il nostro pallone è bucato e fa aria da tutte le parti. Cadono le stelle a una a una e si rovinano anche le favole più belle, come quella dei “mussi volanti” del Chievo. Pure il piccolo-grande Chievo è coinvolto in questa brutta pagina di calcio sporco. La squadra di quartiere di Verona da un decennio in qua se la gioca alla pari contro le grandi della Serie A e finora era stata sempre e solo lodata come società modello, guidata dal sempre lodato presidente “Harry Potter” Campedelli. Restiamo spiazzati come un portiere davanti a un calcio di rigore nel venire a sapere che il coinvolgimento del Chievo è legato al tesseramento – davvero sorprendente – dello “scommettitore” Stefano Bettarini, che quest’anno passava le domeniche nel salotto televisivo (la trasmissione Rai Quelli che... il calcio) della ex moglie Simona Ventura. Tutti i chiamati in causa dalla Procura di Cremona, dal clan degli zingari a quello dei bolognesi, passando per «l’avvelenatore» dello spogliatoio della Cremonese, si sono dichiarati innocenti e estranei ai fatti. Chi vive all’interno del “sistema calcio”, invece, tace ad arte, ma sa bene che, al di là dei tanti millantatori professionisti, anche nell’era post-Calciopoli esistono personaggi loschi che amano “aggiustare” partite e alterare campionati. Ma atteniamoci ai fatti. Siamo al "rinvio a giudizio" e la presunzione di innocenza va assolutamente preservata. Però fa male vedere che nel calderone di Scommessopoli è finita anche l’altra squadra di Verona: i cugini nobili dell’Hellas, l’ultima provinciale vincitrice di uno scudetto (nel 1985). Qui non si parla più di trofei, di partite storiche e di giovani campioni, come quelli che da una vita l’Atalanta cresce e educa con “mastro” Mino Favini. Ai suoi ragazzi Favini ha sempre chiesto di scommettere una sola cosa: il talento. Ne avrebbe avuto da vendere Cristiano Doni, ma in parte l’ha sciupato in campo e fuori, para anche per il vizietto della scommesse.E ora, a 38 anni, rischia di chiudere la carriera con una condanna esemplare per lui e per l’Atalanta, appena promossa in Serie A. I tifosi bergamaschi dicono di stare dalla sua parte e intonano cori romantici: «Doni uno di noi». Speriamo che continuino a pensarla così anche nel caso si delineasse l’ipotesi peggiore: la retrocessione della squadra in B. Nella ridda complicata dei capi d’imputazione e dei singoli casi di “responsabilità oggettiva e diretta”, “reati associativi” e “omessa denuncia”, il quadro resta quello di uno sport che perde ciclicamente la faccia. In nome della febbre dell’oro dei suoi protagonisti, si infrangono continuamente le regole. Così, la giustizia sportiva è costretta in velocità, per non fare saltare il banco, a prendere e decodificare frammenti della giustizia ordinaria, che intanto gioca la sua partita su campi e tempi più lunghi. Mentre 18 squadre, dalla Serie A alla vecchia C, e i loro 26 tesserati non sanno ancora quale sarà il loro destino e la categoria in cui giocheranno il prossimo anno, oggi, puntuale come una festa comandata, è il giorno in cui si stilano i calendari della stagione 2011-2012. Comunque vada, sarà un insuccesso. Qualsiasi sentenza verrà emessa della giustizia sportiva, non mancheranno le zone d’ombra. Per questo c’è già chi passa alle contromosse. La Samp per riavere la Serie A si tutela affidandosi a a una principessa del foro, l’avvocato Giulia Bongiorno. Dall’omicidio di Meredith a Scommessopoli, i passaggi brevi e spettacolari, ormai si vedono ovunque, tranne che su un campo di calcio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: