sabato 16 ottobre 2010
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Tornare a “produrre” politica per costruire il bene comune. Ma solo «una visione genuinamente cattolica» sulla politica di oggi,  e soprattutto, dentro di essa può consentire al popolo cattolico di «contare», piuttosto che di «essere contato».Se giovedì sera il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato l’«orizzonte ermeneutico» entro il quale ricomprendere e leggere la Settimana sociale dei cattolici italiani, al rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, ieri mattina è toccato il compito di guardare negli occhi l’Italia e di descrivere il «presente che c’è» e di cominciare a delineare «il futuro che ancora possiamo costruire». Un grande sforzo di realismo politico, vivificato da una solida opzione antropologica e da una vigorosa fiducia nel protagonismo del cattolicesimo politico.L’avvio di un tragitto che ha un trampolino di lancio nell’«unità politica» dei cattolici attorno ai «valori non negoziabili», ma che ha le radici ben salde in quell’amicizia con Dio che consente a ciascuno di sapere dove andare e di riuscire a comprendere il proprio essere uomo o donna. Sì, l’umano, e non il tanto corteggiato post–umano.«Dal momento in cui la Luce splende nelle tenebre e rende l’universo pieno di senso – ha sottolineato Bagnasco – le scelte dei cristiani, nella vita privata come in quella pubblica, non possono prescindere da Cristo, pienezza della Verità e del Bene». E se queste sono le radici, i cristiani non possono fermarsi impauriti dinanzi alle sfide del proprio tempo, né indugiare un istante per quel senso di spaesamento che prende tanti di noi, dinanzi a un’Italia confusa e contraddittoria, talvolta priva della capacità di rendere ragione della propria identità.Ecco perché la seconda giornata di lavori della Settimana Sociale è cominciata all’insegna di quel metodo indicato dal cardinale presidente che ha fatto propria la “lezione” del Beato Antonio Rosmini: «I cristiani non devono pensare la fede senza anche pensare nella fede». Ornaghi ci ha provato con successo, così come si sono intellettualmente spesi Vittorio Emanuele Parsi ed Ettore Gotti Tedeschi, rispettivamente sulle trasformazioni del sistema politico internazionale e sulla crisi economica globale. Tutti e tre hanno lanciato tanti semi di speranza e una chiamata alla franchezza a un’assemblea pronta a immergersi nel lavoro più difficile: trovare risposte plausibili per costruire, appunto, un’agenda di speranza per il Paese.Grande la responsabilità posta sulle spalle dei cattolici da Ornaghi, nel momento in cui ha invocato una «visione genuinamente cattolica» che, libera da interessi di parte e da angusti orizzonti di potere, sa creare un legame fra popolo e classi dirigenti e sa far maturare in quel popolo le nuove classi dirigenti. Affrontando così, senza reticenze, il tema delicatissimo della rappresentanza che vede i cattolici in posizione di assoluto rilievo in campo sociale e di relativo sottodimensionamento sul versante politico. E qui il rettore della Cattolica si è spinto a ribadire una nota metodologica (che preferiremmo definire pedagogica) che suona così: «Lavorare insieme guardando al futuro». Ecco, quel «lavorare in comune» è un valore aggiunto in un Paese sospeso fra l’immobilismo e le incursioni delle oligarchie che lucrano sulla debolezza delle democrazie. Allora quel «lavorare insieme» può suonare persino come un imperativo per chi ha coscienza delle sfide presenti: la costruzione di un federalismo autenticamente solidale, la salvaguardia di un ethos condiviso, la tenuta dell’unità nazionale. E per tutto questo occorre una classe dirigente che, forte della propria antropologia, sappia sanare la frattura fra etica e politica. E’ questa la domanda esigente del nostro tempo alla quale i cattolici non possono sottrarsi e alla quale devono dedicare le migliori intelligenze e i cuori più generosi. Accettando anche di correre qualche rischio nella competizione politica.
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