Come una spina nel cuore
giovedì 24 ottobre 2019

Un grosso Tir in viaggio dentro l’Europa, dalla Bulgaria verso nord. Serbia, Ungheria, Austria, Germania, Belgio, Regno Unito. Oltre tremila chilometri fino a Grays, periferia industriale di Londra, silos e depositi in un fragoroso andirivieni di camion pieni di merci. Qui anche il grosso Tir candido con la motrice rossa proveniente dall’Est ieri notte ha depositato il suo carico: 39 morti. Uno era appena un ragazzino. Stipati nel cassone, l’uno sull’altro.

Morti di freddo, di mancanza di ossigeno, di sete? Come speravano di sopravvivere a un simile viaggio? Eppure ciò che si profila dietro al Tir arrivato a Grays può essere solo un’altra tragedia di migranti, uomini e donne in fuga forse dalla Siria o dall’Afghanistan attraverso la Turchia, sulla rotta balcanica. In Bulgaria avevano cercato un passaggio per l’Occidente.

"Arriverete a Londra", era la promessa. Londra, dove magari avevano parenti, amici. Chissà quanto hanno pagato, i passeggeri del Tir candido, il biglietto per quel viaggio agognato. Forse, salendo sul rimorchio, pensavano di avercela quasi fatta. E quando il camion, chiusi i portelloni di acciaio, ha acceso il motore e si è avviato, qualcuno, abbracciato alla moglie o a un fratello, là dentro era felice.

Tremila chilometri blindati in una cella d’acciaio, così stretti da tenersi su, accasciati nel sonno, a vicenda. Si fermava almeno ogni tanto, nel cuore della notte, in qualche piazzola deserta l’autista, per dare una boccata d’aria ai prigionieri? Giacché quello erano, lo avevano capito ormai, nell’aria irrespirabile, nel buio schiarito a fatica da qualche torcia elettrica.

La sete, i bisogni addosso, l’odore di 39 corpi avvinghiati. Un grosso Tir in marcia verso il cuore dell’Europa, tra colonne di pendolari, al mattino, e automobilisti in vacanza. Sfiorava autogrill affollati e centri commerciali pieni di ogni ben di Dio: senza fermarsi, lento, costante verso la sua meta. L’autista, un ragazzo nord irlandese, ora in arresto, non sentiva forse i colpi sulla lamiera che qualcuno da dentro cominciava a battere, chiedendo aiuto? Magari quando il tuono del motore, in coda ai caselli, taceva. Ma allora forse erano gli stessi clandestini a trattenere i compagni più sofferenti: "Zitti! se ci scoprono...". E qualcuno per primo non avrà retto, e si sarà abbandonato sulla spalla del vicino. I morti e i vivi assieme, nella calca, nell’aria soffocante, e il Tir che implacabile proseguiva. Trentotto uomini e donne e un ragazzino in viaggio come carne da macello, anzi neanche, perché il bestiame ha un valore, e si bada che arrivi vivo a destinazione. Quelli, invece, se avevano già pagato il biglietto non valevano più niente.

L’autista ha evitato l’Eurotunnel, troppo sorvegliato, e dal Belgio ha imbarcato il mezzo in direzione di Purfleet, un piccolo porto sul Tamigi. Respiravano ancora i poveri cristi nel container, o ormai lì dentro c’era solo silenzio?

I poliziotti che hanno aperto nel fondo della notte il camion abbandonato nei tg della Bbc hanno facce attonite: quanta morte si è parata davanti ai loro occhi. Morte aggrovigliata, umiliata, grumo di corpi immobili. Noi, in Europa, non siamo abituati a tanta morte, tutta assieme – così ammassata da rendere, quasi, gli uomini simili a cose.

Quel Tir bianco con la sua fila di fari luminosi in cima alla motrice nella notte, in marcia fra le città d’Europa, segnale di una disperazione che nessun porto mediterraneo sbarrato potrebbe fermare, di una pressione che cerca ogni via d’uscita.

Quelli che affondano nel mare restano materialmente invisibili, ma il rimorchio gremito come un carro bestiame che ha sfiorato in questa Europa frammentata e stanca Budapest e Vienna e Bruxelles, è una spina dentro l’Europa. Pensavamo, credevamo, dopo il 1945, che mai più in questo lembo d’Occidente degli uomini sarebbero stati trattati così, lasciati morire a grappoli, come materia senza valore. Sarà molto difficile identificarli, ha annunciato alla Bbc una a poliziotta inglese, pallida in volto: non hanno documenti, solo stracci addosso, e nessuno, tranne Dio, ne conosce il nome. (Eppure in quanti forse erano felici, alla partenza, quando il Tir rombando si era avviato verso la promessa di un’altra vita. Una vita senza fame, senza paura, senza guerra).

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