martedì 2 giugno 2015
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L’affluenza alle elezioni Regionali si ferma al 52%, in calo di 11 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni. In Italia come in altri Paesi ad alto reddito gli "scartati" sono uno degli effetti più inattesi della globalizzazione. Nelle previsioni della «fine della storia» la progressiva unificazione delle tecnologie e delle visioni economiche in tutto il mondo avrebbe dovuto portare con sé omogeneità culturale e dividendi per tutti. E invece sta accadendo proprio il contrario, non in una prospettiva ordinata di ricchezza di diversità culturali quanto piuttosto in una contrapposizione antagonista e spesso conflittuale di identità. Perché?La ragione di questa "deriva identitaria" è il numero sempre più grande di individui "scartati" (non a caso uno dei temi più ricorrenti degli interventi sociali di papa Francesco). Si tratta di una novità perché in passato il modello capitalista proponeva nel caso e nelle visioni più negative lo schema di "sfruttati" e "sfruttatori", ma non una terza categoria di "scartati". Oggi invece con il salto di qualità del progresso tecnologico e dell’automazione che sostituisce non più soltanto lavoratori routinari, ma anche lavoratori di concetto la quota di "scartati" cresce in modo preoccupante. E sono in molti, troppi anche in Italia a non cercare lavoro, a non lavorare, a non studiare e a non andare a votare. Tanto che il problema degli "scartati" diventa una minaccia alla coesione sociale distruggendo quel capitale sociale di fiducia, senso civico e cooperazione che è il collante fondamentale di ogni società.Il moderno panem et circenses di un’economia che fornisce praticamente gratis, attraverso la rete digitale, molti beni e servizi che un tempo erano a pagamento "anestetizza" in parte gli "scartati", gli esclusi, eppure tutto questo non basta. Perché il sistema ne scarta troppi e la narrazione che propone non scalda i cuori. Così, una parte consistente di esclusi riemerge sotto forma di "indignati" facendo nascere nuove formazioni politiche in cui prevale la parte critica oppure il disagio sfocia addirittura in antagonismo armato e in conflitti identitari. Se qualcuno tra gli "inclusi" si meraviglia leggendo i giornali per il fatto che c’è troppa gente strana in giro, è perché ragiona applicando le proprie sicurezze (e tutele) a persone che non le hanno e per questo hanno poco da perdere nelle loro scelte di protesta.Il modello economico tradizionale a due mani (mercato e istituzioni) non ha in sé la forza di trovare una risposta a questo problema. Procede impetuoso nello sviluppo tecnologico e nella creazione di valore economico aggregato, ma a prezzo di diseguaglianze crescenti (gli 85 più ricchi che hanno un patrimonio uguale a quello dei 3 miliardi dei più poveri). L’unica soluzione davvero utile a questo immane problema è, a nostro parere e alla luce dei fatti, il modello a quattro mani dell’«economia civile», dove il lavoro di mercato e istituzioni è coadiuvato da quello di cittadini responsabili e di imprese non massimizzatrici di profitto. Questo modello che va pian piano emergendo è una risposta diretta al problema della partecipazione, dell’identità, del riconoscimento e della costruzione di capitale sociale proprio perché in grado di dare una risposta al problema dello scarto.Imprese a bassa intensità di profitto e ad alta intensità di lavoro, imprese cooperative, etiche o solidali, imprese che nascono dall’ibridazione tra il modello massimizzatore di profitto e il non profit che fa pura redistribuzione riescono a coniugare creazione di valore e finalità sociali stimolando partecipazione e motivazioni intrinseche. Non è un caso che nell’ultima indagine globale della Nielsen il 67% dei cittadini dichiara che preferirebbe lavorare in un’azienda socialmente responsabile. E le forme di partecipazione e cittadinanza attiva sviluppate attraverso il "voto col portafoglio" (acquistare prodotti di aziende che operano bene nel rispetto delle persone e dell’ambiente), i cash e gli slotmob, il volontariato e le iniziative civiche sono palestre di capitale sociale che costruiscono nuova cittadinanza. E, dunque, nuova voglia di partecipazione. Anche politico-elettorale.I germogli dell’economia civile lanciano, insomma, una sfida a governi e organizzazioni tradizionali di rappresentanza. Come anche le recenti elezioni spagnole dimostrano, per i governanti la sfida non è soltanto far crescere il Pil o ridurre il tasso di disoccupazione, ma la qualità del lavoro e la capacità di coinvolgere gli "scartati" nel progetto. Per le organizzazioni di rappresentanza si tratta, invece, di sviluppare le capacità di intercettare le nuove forme di partecipazione, spesso troppo liquide e informali, e di interpretarle, strutturandole appunto in modalità di rappresentanza d’interessi e dando loro un peso politico. La sfida di come risolvere il problema della "società dello scarto" è appena iniziata, ma rappresenta la questione più delicata e importante dei nostri tempi. Il segnale venuto, in casa nostra, dalle elezioni amministrative del 31 maggio ne è un nuova e acuta conferma.
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