sabato 6 settembre 2014
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Caro direttore, la stampa francese si domanda, in queste giornate drammatiche ma non tragiche (don Luigi Giussani usava sempre il primo termine perché nel “dramma” a differenza della “tragedia” è compresa la speranza), come farà il Papa a frenare il “califfo”? E “Avvenire”, da giornale cattolico, quindi curioso della verità e della realtà tutta intera, si porrà certamente la stessa domanda; anche se spero insieme a me rileverà come questo rivolgersi a Francesco, Papa di tutte le meraviglie, nonché imprevedibile, denoti un qualche vuoto, oppure omissione della politica. Il mio confessore mi osserva sempre quest’ultimo peccato; e qui è in giuoco la vita e la libertà di troppe persone, cristiane e non cristiane, per rimanere tranquilli. So di sicuro quello che Papa Francesco non farà: non prenderà di petto il califfo e neanche per la barba o per la scimitarra. Perché lui ha letto le opere di un certo bue muto, più conosciuto come san Tommaso D’Aquino, il quale iniziava ogni lezione avendo in mano una mela, con questo appello alla realtà: “Se per voi questa è una mela, possiamo procedere, altrimenti...”. Il grande Aquinate sconsigliava di attaccare frontalmente i leoni che ci vogliono sbranare, si riferiva al diavolo; molto meglio svicolare, come faceva Gesù, la persona più intelligente che sia mai esistita sulla terra, evitando di fianco, con semplicità angelica, i suoi nemici che rimanevano con un palmo di naso. Sul fatto di invitarli a pranzo oppure dialogarci san Tommaso non ha dato indicazioni in merito, tutto questo attiene alla nostra apertura. Grazie infinite per la sua attenzione e per la bellezza di “Avvenire”.
  Giovanni Santachiara, Macerata
 
Nostro Signore “svicolava”? Capisco che cosa intende, gentile signor Santachiara. Del resto, sta scritto. Ma “svicolava” solo perché il tempo non era ancora «giunto». Quando la Pasqua attesa venne, Gesù Cristo bevve fino in fondo l’amaro calice e cambiò per sempre la vita e la storia del mondo. Il nostro tempo, invece, è certamente adesso. È totalmente «giunto». È il tempo che viviamo e che si rivela – soprattutto (ma non soltanto) nel Vicino Oriente a grande maggioranza islamica – colmo oltremisura delle ingiustizie e delle sofferenze subite da tanti cristiani e da fedeli di altre religioni di minoranza. Non è un tempo da affrontare con temeraria asprezza e paura rabbiosa, perché è uno straordinario tempo di prova. Per l’umanità tutta è più che mai il tempo della croce. E per la Chiesa è come mai prima tempo di martirio. Papa Francesco ha cominciato a spiegarlo a quelli che hanno orecchi per intendere (ma più d’uno finge di non sentire) sin dall’inizio del suo pontificato. Siamo dentro a questa vicenda. E se ne abbiamo cuore, possiamo provare a pensarci innocenti e in salvo rispetto a essa, ma se abbiamo coscienza, neanche lontanamente ci è concesso di proclamarci estranei. A ognuno spetta la sua parte di responsabilità davanti agli uomini e davanti a Dio: ai carnefici jihadisti, ai governanti, ai cittadini liberi, ai consumatori facili, a quei ciechi affacciati alla tv e al computer nei quali troppi di noi rischiano di convertirsi … Già, la responsabilità spetta proprio a tutti. Agli assassini del “califfo” più che ogni altro, e in solido ai loro finanziatori cinici e folli, e agli (illusi) burattinai. Ma a ognuno con specifica intensità. Vengo così a lei, caro dottor Sansonna. Perché lei, nella sua lettera, dice infine ed esattamente questo, e lo dice bene. C’è sempre una responsabilità del male commesso che grava in modo inesorabile su coloro che in diversi modi possono soccorrere, e non lo fanno. Ed è un responsabilità uguale a quella che incombe su coloro che soccorrono, per come lo fanno… A coloro che hanno orecchi per intendere (e magari non ne hanno voglia) Papa Francesco lo ha spiegato sottolineando la differenza tra “fermare” insieme e “bombardare” da soli. Questo bisogna tenere a mente mentre ci è chiesta carità e forza per sconfiggere un grande male. E pur dobbiamo riuscire a farlo, ma difendendo gli inermi, salvando le vittime, non perseguendo altri disegni. La guerra portata undici anni fa in terra d’Iraq, con le sue conseguenze, dovrebbe avercelo fatto capire che solo questa via e queste intenzioni portano alla giusta meta. Non si può mai fare un deserto e chiamarlo pace, non si può creare il caos e chiamarlo democrazia, non si può contrastare la logica orribile della sopraffazione e dei boia sino ad accettarla, replicandola con le nostre scelte, i nostri piani, la nostra politica. Come farà il Papa a frenare il califfo? Io so solo quel che vedo. E vedo che ha già cominciato a farlo, restando Papa e non facendosi (come qualcuno vorrebbe) califfo, chiedendo a noi e a tutti quelli che lo possono di soccorrere i deboli e i perseguitati, di servire la giustizia, di usare con proporzione la forza per “fare la pace” e non per perpetuare brama di dominio e guerra.
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