martedì 31 luglio 2012
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Gentile direttore,
le scrivo a proposito della sua risposta (mercoledì 25 luglio, «A proposito di "contro" e di "per"») alla lettera di F.D. che apprezzo molto per il tono e la maniera con cui esprime la sua opinione sulle unioni gay. Con persone che esprimono civilmente il proprio parere è sempre possibile e proficuo un confronto serio, onesto e aperto. E apprezzo anche la sua risposta a riguardo, direttore, per gli stessi motivi. Detto questo, seguendo da molto tempo – e precisamente da quando si discuteva di Dico – questi problemi, desidero porne semplicemente uno ulteriore a titolo di riflessione sulla giustificabilità e a maggior ragione della giustizia o non giustizia o addirittura della ingiustizia nei confronti di altri soggetti sociali.
 
E per esemplificare mi riferisco a situazioni realmente avvenute nella mia famiglia, ma certo comuni a moltissime altre persone. Mia nonna ha continuato a convivere, dopo la scomparsa di mio nonno, nella stessa casa con un figlio agricoltore e una figlia casalinga non sposati, che con grande affetto e amore filiali l’hanno assistita fino alla sua morte. Dopo, i due fratelli hanno continuato a convivere con le stesse mansioni fino alla morte di mio zio, avvenuta quattro anni fa. Sia quando erano in tre che quando sono rimasti in due, questi – chiamiamoli "soggetti sociali" – risultavano in uno stesso stato di famiglia e presentavano un’unica denuncia dei redditi. Senonché, alla morte di mio zio, mia zia non ha beneficiato della pensione di reversibilità, pur avendolo assistito e amato come fratello fino alla fine, perché non vi è uno statuto che lo preveda. L’amore e l’affetto sono uguali, ma forse i contatti sessuali sono più importanti? A mia zia la pensione di reversibilità avrebbe permesso di vivere a casa sua con un’assistente familiare, ma abbiamo dovuto cercare un’altra soluzione.
 
Altro caso: un mio cugino si è ammalato in giovane età di una malattia grave che non gli ha permesso di lavorare, essendo ancor oggi invalido al 100%. Finché mia zia, vedova, è stata in vita, lui era tutelato, anche economicamente. Alla morte della madre il figlio, ancor giovane, si è trovato senza mezzi di sostentamento, perché neanche in questi casi è prevista la reversibilità della pensione dei genitori, e non sto qui a dire quali salti mortali abbiano fatto i suoi fratelli per sanare questo vuoto legale.
Credo che di situazioni simili ce ne siano moltissime, soprattutto in famiglie con figli disabili. Non so se mi sbaglio, ma ritengo una grave ingiustizia non prevedere in questi casi la reversibilità della pensione. Anche qui ci sono affetto e amore, impegno e assistenza continui, assunzione di responsabilità, sacrifici e pesi sostenuti, uno stesso stato di famiglia e un’unica dichiarazione dei redditi, ma non innamoramento e rapporti sessuali.
 
Se dovesse passare una legge che equipara tutte le unioni alla cui base c’è affetto e amore, ma soprattutto la sessualità condivisa, alla famiglia "tradizionale", quindi con un’estensione dei diritti della famiglia "tradizionale" alle cosiddette famiglie "nuove" o "non tradizionali", non dovrebbero valere i nuovi diritti riconosciuti ai nuovi soggetti sociali anche per tutti quei soggetti, non nuovi, ma molto numerosi, che già ora vivono insieme sotto uno stesso tetto, uniti sì da vincoli di affetto e amore, ma non da vincoli sessuali? E se la nuova legge dovesse non includere anche i soggetti non uniti da vincoli sessuali, non sarebbe questa una grave ingiustizia?
 
Per favore, se dovesse voler pubblicare la mia lettera, non pubblichi il mio nome, non perché mi voglia nascondere (da anni meditavo di scrivere qualcosa del genere a Rosy Bindi, che già da tempo è nel dibattito, giri pure a lei la mia lettera con nome, cognome e indirizzo mail), ma siccome mi riferisco a persone ancora viventi della mia famiglia, non vorrei che ne venisse lesa la sfera privata. La saluto con stima e cordialità.
R.F.
Casi simili a quelli che lei segnala, cara amica, e la sostanza del suo ragionamento sono già stati al centro di riflessioni che su queste pagine, anche da me, sono state sviluppate ai tempi del dibattito sui Dico. Lei riesce a riproporre gli uni e l’altro con la notevole efficacia che è tipica di chi sa bene di che cosa parla. La ringrazio per questo. E mi limito ad aggiungere una sola annotazione: le vicende che cita confermano che nel mondo politico e mediatico si presta un’attenzione martellante (e persino ossessiva) a proclamate necessarie "novità" mentre si continua a ignorare la realtà di vita, di rapporti e di sostegno reciproco della gente vera. È infatti un dato incontrovertibile che la realtà della famiglia cosiddetta tradizionale, cioè generata dall’unione matrimoniale di una donna e di un uomo, è fatta anche di rapporti fraterni e di rapporti genitoriali e filiali che non si esauriscono e che continuano, in tanti casi, in forma di convivenze stabili. Penso che statisticamente queste situazioni siano molto significative, certo assai di più delle convivenze tra persone dello stesso sesso che davvero aspirano all’equiparazione legale con il matrimonio tra un uomo e una donna. Tutto questo dovrebbe far riflettere. E far cambiare registro – è proprio il caso di dirlo – a certi nostri modaioli e distratti parlamentari e amministratori locali. Ricambio stima e cordialità.
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