Chi vede la vergogna?
venerdì 17 febbraio 2017

Non c’è menzogna più pesante e feroce di quella che pretende di ricoprire un misfatto con il manto di un’intenzione virtuosa. A questo ancora una volta siamo, in questo febbraio 2017 che ci mette sotto gli occhi una grave negazione della libertà travestita nel suo contrario. È accaduto in Francia, per volontà dell’Assemblea Nazionale, il ramo decisivo del Parlamento d’Oltralpe, che da cinque anni è controllata come mai prima (e probabilmente mai più) nella storia della Quinta Repubblica da una sola forza politica: l’oggi malmesso Partito socialista del presidente uscente François Hollande. La Camera politica francese ha infatti definitivamente snobbato le preoccupate e pur timide correzioni proposte dal Senato, e ha votato il testo originario della legge-bavaglio che d’ora in poi consentirà di punire con due anni di carcere e sino a 30mila euro di multa chi s’impegna per la vita e contro l’aborto usando anche i canali della comunicazione digitale. E lo fa, sebbene questo si sia cercato di far credere, non con improperi o – come si usa dire adesso – con post-verità o insidiose mezze verità o dissimulazioni tutte intere, ma semplicemente facendo capire che cos’è davvero l’eliminazione di un figlio non nato e offrendo un’alternativa di calore umano e di concreta vicinanza alle madri che, per i più diversi motivi e quasi sempre in solitudine, compiono tale tragica scelta.


I nostri lettori sanno bene di che cosa tratta la legge sul délit d’entrave numérique, il «reato di ostacolo digitale» all’aborto, perché ne scriviamo da mesi, spiegando le diverse posizioni in campo e le conseguenze amare. Abbiamo illustrato le argomentazione portate a sostegno (tanto tenace quanto, a nostro giudizio, debole) di una simile scelta liberticida. E abbiamo dato voce alle obiezioni (altrettanto tenaci e, a nostro parere, ben più solide) che porteranno gli oppositori della legge-bavaglio a puntare su un supremo giudizio di legittimità davanti al Consiglio costituzionale di Parigi.


Qualche settimana fa, un giurista misurato e profondo come Giuseppe Anzani aveva parlato proprio qui di una «norma collerica», d’indole «per certi versi talebana», e aveva auspicato un soprassalto di buon senso politico e di buon diritto tra i legislatori della grande democrazia francese. Un soprassalto che non c’è stato. Oggi, mentre non rinunciamo ancora a credere che in Francia ci sia un saggio "giudice delle leggi" capace di vedere il sovrano disprezzo per la libertà e per la vita umana che la nuova norma manifesta, vorremmo sperare almeno in un soprassalto di consapevolezza tra chi fa il nostro stesso mestiere. Che poi dovrebbe essere quello di servire responsabilmente la libertà dei lettori, perché è proprio e solo in quella essenziale e civile libertà che si radica la nostra di giornalisti.


Saremmo, insomma, felici di scoprire di non essere quasi soli nel concerto delle voci dei maggiori giornali nel segnalare la seria ferita alla libertà di pensiero e di coscienza, oltre che al puro senso di umanità, che è stata inferta in Francia. Proprio in Francia, patria di quel Voltaire al quale si continua ad attribuire una frase (in realtà fulminante frutto del genio di una sua biografa inglese: Evelyn Hall, in arte Stephen G. Tallentyre) che dovrebbe essere cara a tutti gli uomini e le donne capaci di vivere e concepire un’autentica libertà: «Non condivido il tuo pensiero, ma darei la vita perché tu lo possa esprimere». Proprio a Parigi i signori di una politica accecata, perché offuscata dall’ideologia plumbea che associa sempre di più alla morte e non alla vita l’idea di diritto e di libertà, hanno invece stabilito di gettare un’ombra criminale su quanti – con i mezzi della nuova comunicazione – cercano di «dare la vita» per sostenere chi rischia di compiere un aborto e per difendere la persona umana quando è più inerme.
Chi avrà il coraggio di dire con noi, e con laico amore per la verità, che questa legge è una vergogna liberticida?

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