Chi sono davvero gli «anziani attivi» e perché sono tanto importanti
venerdì 16 aprile 2021

Caro direttore,
ho letto con attenzione l’articolo di fondo di Gian Carlo Blangiardo, collaboratore di “Avvenire” da tanti anni e oggi presidente dell’Istat, che è stato intitolato «I veri deficit da colmare»: interessante per la documentata riflessione storica. Ringrazio. Mi permetto di dire il mio disagio per la parte in cui si evidenzia il ruolo degli «anziani attivi» (faccio parte della “categoria”!). Ringraziamo Dio per questo prolungamento di energie fisiche e intellettive, che ci danno il piacere di continuare a essere operativi a lungo. Ma c’è un problema in questa prolungata stagione operativa: decenni fa quando uno arrivava ai 65-70 anni avvertiva la responsabilità di “lasciare il posto ai giovani in attesa”. Nel campo lavorativo, nella formazione di nuove famiglie, nell’inserimento in ruoli di responsabilità gestionale, sociale e politica. Oggi i giovani faticano a diventare adulti “anche” per questo. O vanno all’estero dove trovano specializzazioni e posto di lavoro meglio remunerato, o restano parcheggiati in attesa. Di chi? Anche questo – secondo me – va preso in considerazione nell’analisi demografica, nelle carte da rimescolare. Grazie.

Gianni D’Alessandro

Il rischio che lei evidenzia, caro amico, non è campato in aria. Soprattutto se si identifica la vita attiva con la vita lavorativa. In questo senso, come lei scrive, gli anziani attivi, possono chiudere la strada ai giovani e comprimere o addirittura vanificare le loro aspirazioni. Ma con l’espressione «anziati attivi » non ci si riferisce – e certamente il professor Blangiardo nell’editoriale che ha scritto per noi non si è riferito – a coloro che continuano a lavorare in senso professionale, ma a quanti nella terza e quarta età continuano (o finalmente riescono) a partecipare attivamente alla vita della propria comunità usando per questo fine il tempo libero, l’esperienza maturata e la conquistata stabilità economica. Mi viene da dire che gli «anziani attivi» non continuano necessariamente a fare il “mestiere di una vita”, ma si dedicano pienamente al “mestiere di vivere”, nei rapporti sociali come nella sfera intellettuale e spirituale. E questa è una gran forza e una vera ricchezza delle quali è giusto – e sarebbe saggio – tener conto.

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